27 settembre 2019
Sulla maestosità e la potenza di Piazza della Repubblica questa mattina, c’è poco da dire.
Bambini, adolescenti, giovani e adulti che come un mastodontico formicaio hanno riempito la piazza e le strade adiacenti, espandendosi fluidamente per le vie circostanti. Un’umanità vasta e plurale, scevra da sigle (se non poche) e rivendicazioni di ruolo. Questa giornata è per loro, “i Fridays”, è per tutti e tutte noi.
Questa giornata globale di sciopero sarà data storica. Più di un milione di persone, soprattutto giovani, in piazza, più di 180 città all’appello delle manifestazioni organizzate. Un chiaro messaggio per i leader politici di tutto il mondo, in primis i nostri: è tempo di raddrizzare la faccia voltata troppo tempo fa e iniziare a prestare attenzione, a guardare negli occhi le donne e gli uomini di oggi e di domani.
Non è più solo tempo di risposte, è tempo di azione, di concretezza e rapidità. Perché molte risposte già ci sono: decarbonizzazione totale, transizione per l’abbondono dei combustibili fossili, stop ai finanziamenti per i produttori di cibo a livello industriale, basta grandi opere inutili che deturpano i territori e sloggiano comunità…
È tempo di agire e questa azione non deve essere più relegata alla mera responsabilità dei singoli, dato che nessuna delle azioni sopra riportare è, per noi società civile, raggiungibile. Inoltre è proprio la società a vedersi obbligata a ricorrere a certi comportamenti o acquistare determinati prodotti. Non è una questione di deresponsabilizzazione della società, che sicuramente ha un ruolo fondamentale, soprattutto nella scelta dei consumi, è solo una questione di onestà intellettuale: sono i parlamenti a legiferare, sono le grandi industrie della produzione e della distribuzione a dettare le regole del mercato e, quindi, anche i consumi.
L’aver portato la questione ambientale per troppo tempo solo al livello della società civile ha creato profonde spaccature nella stessa, come prevedibile: tolta la questione della plastica, davvero immediata e logica per la stragrande maggioranza delle persone, più complicate e scomposte sono state le reazioni verso una questione socialmente rilevante come l’alimentazione personale o i movimenti e quindi l’uso di carburanti.
Se è una verità incontestabile che la produzione di alimenti industriale (animali in batteria, monoculture estensive ed intensive, pesca feroce) è tra le prime cause di inquinamento a livello globale e che quindi ognuno di noi, sia per diretto interesse alla propria salute che per rispetto dell’ambiente, sarebbe “obbligato” a boicottare questi prodotti, è giusto però considerare il contesto in cui avanziamo queste richieste. L’Italia in generale e le città metropolitane come Roma vivono infatti un costante processo di impoverimento, le famiglie a parità di spesa hanno meno potere d’acquisto. Una povertà dilagante che, in base ai dati istat, colpisce sempre di più le fasce più vulnerabili della società quindi donne, minori, migranti e anziani.
Per quanto quindi sia legittimo chiedere di boicottare certi prodotti la cui produzione è fortemente inquinante e devastante per interi ecosistemi è anche giusto chiedersi come è possibile dirigere gli acquisti verso altri prodotti se non si ha la capacità economica di farlo. È nostra responsabilità scegliere i prodotti, è responsabilità dello Stato ridurre la forbice sociale e, come era stato annunciato in tempi già molto sospetti: “Eliminare la povertà”. Compiti mai adempiuti. Lo stesso discorso può essere fatto per l’utilizzo dei carburanti fossili, miccia per l’esplosione nelle strade del movimento dei Gilet Jaunes. Far ricadere le misure ambientaliste sulle tasche dei meno abbienti, dei lavoratori delle zone rurali, delle famiglie, dei giovani è la più grande deresponsabilizzazione di tutte: un Presidente Conte che si gusta un hamburger a NY (per altro, che cattivo gusto dato il contesto! Non era meglio un’insalata?) non avrà problemi ad acquistare un hamburger di chianina allevato da sorridenti contadini circondati da distese di grano dorato e acquistato al giusto prezzo. Nemmeno avrà troppi disagi il grande AD della multinazionale a pagare qualche centesimo in più la benzina.
Chiediamo però alla madre di Tor Sapienza se può permettersi di sfamare i propri figli con hamburger di carne selezionata considerando che entra solo uno stipendio in casa, se può acquistare alimenti biologici e pesce fresco pescato eticamente; chiediamo ai lavoratori fuori dal GRA se cambia o no il centesimo sulla benzina.
Non siamo noi il problema, il problema è chi ci ha reso poveri, schiavi di un’industria che ci impoverisce sempre di più e che ci impone consumi malsani e comportamenti contraddittori se non palesemente negativi e ci ha reso anche ignoranti, ma non è di certo una colpa non possedere oggi le informazioni necessarie per scegliere. L’accessibilità alle informazioni dei prodotti che consumiamo è un diritto che non ci è garantito e che, quindi, non ci permette di avere piena consapevolezza e libertà di scelta.
Forse si inserisce qui, nello galoppante povertà economica che poi diviene culturale, il grande attacco promosso da tante, davvero troppe persone nei confronti di Greta Thunberg: togliendo dalla lista i soliti complottisti, i Signor “non mi va bene niente se non lo dico io” e gli ovvi personaggi portatori di interessi, forse la diffidenza e l’antipatia verso i e le leader ambientalist* va ricercato nella mistificazione del privato cittadino e delle sue scelte, spesso nemmeno davvero volute o consapevoli. Non vuole essere una difesa a chi insulta una giovane ragazza andando a toccare corde personali della stessa: quello è bullismo, è il solito deprimente show a cui i social ci hanno abituato e che non ha scuse. È giusto però provare a calarsi nei panni di chi, già con fatica e con sfregi alla propria dignità, deve lottare quotidianamente per avere una vita decente e che non può anche sopportare di vedersi additato come killer della foresta Amazzonica perché compra la carne al discount invece che nella bottega del macellaio. Con un esercizio di empatia si può capire forse da dove nasce parte questa bile verso Greta: non è verso di lei, è verso chi ha messo una sempre più larga fetta della popolazione nelle condizioni di essere “rimproverati” da una ragazzina, è verso chi non dà la possibilità di vivere in modo e in un mondo migliore.
Vi è anche l’altra faccia della medaglia, quella più complessa da penetrare: quelli che inquinano e deturpano e lo fanno per gusto e piacere personale, quelli che nonostante abbiano avuto strumenti e disponibilità hanno scelto e coscientemente ogni giorno scelgono di non ascoltare, di non guardare oltre il proprio di naso, di continuare a mangiare carne ogni giorno perché (appunto) non costa tanto quanto dovrebbe, di non usare i mezzi pubblici perché è più comoda la macchina che due fermate sui mezzi. Non siamo nemmeno tutti poveri, tanti di noi sono anche semplicemente disinteressati perché le conseguenze dei cambiamenti climatici in Europa inizieremo a pagarle tra qualche tempo.
Il corteo di Roma di oggi quindi, insieme alle altre centinaia di manifestazioni, non deve rimanere inascoltato. Probabilmente ci faranno credere che si, il messaggio è passato e che nuove misure all’avanguardia siano pronte. Dobbiamo invece porre attenzione, perché la transizione ecologica non deve ricadere sulle nostre spalle, non dobbiamo essere colpevolizzati (non eccessivamente) e non dobbiamo pagare noi per danni che non abbiamo causato. È vero, dobbiamo maturare, dobbiamo essere più attenti e responsabili, più coinvolti in ciò che ci circonda e dobbiamo anche rinunciare a tanti comportamenti che non sono più sostenibili.
Ma non dobbiamo farci nemmeno ingannare: La questione ambientale non è poi altro che una delle tante maschere del capitalismo: se non si abbatte quello, nessuna delle sue teste potrà morire, né la distruzione dell’ambiente, né la povertà dilagante, né il patriarcato. Che a guardarli così, in fila, sono proprio i primi, grandi e unici colpevoli.
Di seguito una breve galleria delle immagini del corte dei Fridays for Future