“Siamo allo stremo, da mesi dormiamo poco o niente: qui i barchini autonomi dalla Tunisia ci stanno sfondando! … e ci tocca pure fare la guardia alle Ong!”. A parlare è una delle tante voci anonime in divisa che operano da anni nelle frontiere d’Italia. Questa è la frontiera più a sud, a Lampedusa. La divisa è quella “verde” delle Fiamme Gialle che, insieme agli “arancioni” della Guardia Costiera lavorano giorno e notte senza sosta per garantire la sicurezza a mare a turisti, gestire l’illegalità e soprattutto gestire un fenomeno migratorio che non si è mai fermato. Con forze a lungo ridotte e solo nelle ultime settimane rinforzate anche per sostenere la stagione turistica.
Chi mi parla, da mesi ha gli occhi cerchiati dall’insonnia. Mi spiega che da quando è stato introdotto il decreto sicurezza, tutte le unità navali e gli uomini sono costretti a turni massacranti. Senza contare i costi di tutte queste operazioni e pattugliamenti alle Ong.
Perché, oltre a dover gestire le barche che arrivano quasi quotidianamente dalla Tunisia (da un po’ di tempo anche dalla Libia) devono pattugliare le navi umanitarie bloccate per giorni al confine con le nostre acque territoriali per effetto del decreto sicurezza. A bordo decine di persone già provate dalla permanenza in Libia e che alla fine, comunque, sbarcano. Tra una vedetta e un trasbordo di bimbi, neonati, donne incinte e malati c’era sempre una corsa verso l’ultimo barchino da fermare prima che da autonomo diventasse “fantasma” con i passeggeri già dispersi a terra pronti a trovare un qualsiasi modo per lasciare l’isola di nascosto per raggiungere la Sicilia e poi chissà dove verso nord. E tutto, lavoro, straordinari e occhiaie senza mai fare troppo rumore: perché è bene che non si sappia in giro che qui arrivano tutte queste barche di migranti.
A maggio, mentre si faceva un gran parlare della Mare JONIO che – nonostante il divieto – sbarcava 29 migranti a Lampedusa, i militari delle fiamme gialle e quelli della guardia costiera, restavano per 12 ore nascosti in un cala dell’isola a fare da guardia a 68 Bangladeshi scappati dalla Libia su una barca in legno. Ore e ore per non far vedere che mentre si sequestrava la Mare Jonio che sbarcava 29 disperati, più del doppio erano già arrivati in autonomia. Casualmente, quel giorno ero sull’isola e questo sbarco ritardato di 12 ore, fu riportato comunque alle cronache.
Scene che si ripetono di mese in mese: a giugno con la Sea Watch3 e la sua comandante Carola Rackete, che – dopo 17 giorni di mare – forza il blocco provocando un parapiglia politico internazionale. In quei giorni, arrivavano barche e barchini dalla Tunisia con i Finanzieri e i fratelli diversi della Guardia Costiera sempre in piedi: amici nella vita, concorrenti nel lavoro, sopratutto ora che ai “verdi” tocca fare il lavoro del lupo cattivo con le notifiche delle diffide a entrate in porto o i decreti di sequestro alle navi delle Ong.
Un mese dopo tocca alla Alex&Co della ong Mediterranea: barca a vela di 18 metri che resta per due giorni a 13 miglia con 59 persone recuperate in Sar libica e altre 11 tra membri dell’equipaggio e giornalisti: compresa la sottoscritta inviata per Rainews24 che, alla sua decima missione vive la prima esperienza dell’era dei blocchi a 13 miglia con uomini, donne anche incinte, bambini e neonati già abbastanza provati, trattenuti in mare per giorni ma che alla fine vengono comunque fatti scendere a terra. Posso altresì constatare la continua attività di motovedette CP e Gdf presenti h24, con momenti di imbarazzo da entrambe le parti per una vicenda che appariva surreale.
Passa un mese (in cui non si fermano i mini sbarchi autonomi) e a Lampedusa si vivono le due settimane più dure con l’arrivo della Open Arms e i suoi 147 disperati a bordo tenuti a mare per tre settimane, 8 giorni di fronte la porta d’ Europa dell’isola delle Pelagie, in cui continuavano ad entrare barche e barchini, alcuni arrivati da soli, altri intercettati dalla Guardia di Finanza proprio all’ingresso delle nostre acque territoriali e dunque portati a terra come normale operazione di contrasto all’immigrazione illegale. Un andirivieni di motovedette e navi militari per gestire questi arrivi e i continui colpi di scena dalla Open Arms, dalla quale si susseguivano evacuazioni mediche e soccorsi di uomini che si lanciavano a mare per l’esasperazione.
Non passa una settimana e si torna a tribolare. Dalla Libia e dalla Tunisia partono oltre dieci imbarcazioni in meno di 36 ore. Alcuni vengono recuperati dagli stessi libici che riporteranno i malcapitati indietro, altri dalle 4 navi Ong che riescono a soccorrere i più fortunati.
Mare Jonio, Alan Kurdi , Ocean Viking, Eleonore. Tutte chiedono in base alle leggi internazionali del soccorso a mare, il porto più vicino e sicuro: ovvero Malta o Lampedusa. Malta apre al numero più alto e fa entrare i 356 della Ocean Viking. Mare Jonio con 98 persone resta per 5 giorni davanti Lampedusa, per una notte affiancata dalla Eleonore (che poi sfonderà il blocco e ne sbarcherà 104 a Pozzallo).
Poco a poco dalla nave italiana vengono evacuati donne, malati e 22 bambini, alcuni piccolissimi passati dall’equipaggio alle mani degli uomini della Guardia Costiera sulle motovedette costrette a fare questo lavoro a 13 miglia dalla costa con mare mosso e vento forte. Una delle scene più drammatiche che farà il giro del mondo. Il giorno in cui finalmente dalla Mare Jonio vengono fatti scendere tutti per problemi sanitari, a Lampedusa arrivano 4 barche. Tre toccano terra da sole, una viene recuperata a poche miglia dall’isola da una motovedetta della Guardia di Finanza: e io non ho il coraggio di chiedere alla mia fonte come sta, tanto lo so. Lo vedo già con le sue occhiaie sempre più profonde e la divisa che gli sta sempre più larga per il peso che continua a perdere.
Le sue parole sono le stesse di altri uomini e donne delle forze dell’ordine che si trovano ad affrontare gli arrivi “dei clandestini” (come li chiamano loro) o forzati (come li chiamano altri) in tutto il sud Italia e in Sardegna. Proprio in questi giorni le divise “azzurre” dei poliziotti del Siap – che non hanno bisogno di parlare in anonimato perché protetti dal sindacato – hanno denunciato il caos sbarchi autonomi di algerini nel Sulcis, gli ultimi proprio mentre a Lampedusa si baccagliava per la Mare Jonio. “Da mesi assistiamo ad un’indegna lotta politica sui migranti che giungono in Italia a bordo di navi Ong – scrivono in un comunicato – invece in Sardegna si sbarca nella più assoluta tranquillità e sopratutto si ottiene un lasciapassare per l’Europa”.
Perché la maggior parte di chi arriva in autonomia, soprattutto se nordafricano, non potrà neanche fare richiesta di asilo. Gli verrà così consegnato un foglio di via e sarà lasciato libero di circolare per l’Europa da “clandestino”. Come J., tunisino, che ho incontrato a Lampedusa: dopo essere stato trasferito a Porto Empedocle, ha raggiunto in due giorni Bordeaux, dove ora vive e lavora. E come M. , anche lui tunisino: l’unico che mi dice di voler rimanere a Lampedusa perché sa fare il pescatore. Per ora il pesce lo mangia ma non lo pesca. Mi invia video e foto in cui lo si vede al ristorante davanti luculliane pietanze a base di pesce: oppure sdraiato sotto un ombrellone nella spiaggia più frequentata dell’isola.
Per le persone migranti scese dopo giorni di patimenti, il futuro è un posto nell’hotspot, poi il trasferimento in Italia, la lotteria dell’accoglienza e il tiro a dadi della richiesta di asilo. Per gli uomini in divisa, non stellette in più per la loro dedizione e obbedienza o gli onori delle cronache ma occhiaie sempre più profonde a marcare la loro stanchezza.