In questi giorni di importanti mobilitazioni per il clima, vogliamo dare voce alla scienza. Cosa ci dice la scienza sui cambiamenti climatici in atto? L’ente più accreditato a cui rivolgersi è il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) che periodicamente, su commissione delle Nazioni Unite, fa il punto della situazione. È di agosto 2019 il Rapporto speciale sull’uso del suolo, frutto di due anni di lavoro che hanno coinvolto oltre 100 scienziati di tutto il mondo.
Il rapporto esamina l’impatto delle attività di sfruttamento del suolo e delle foreste sugli eventi climatici estremi e rileva che circa 4,9 miliardi ettari di suolo, pari a un terzo delle terre emerse del pianeta, sono oggi utilizzati per l’agricoltura. L’aumento della popolazione globale è una delle motivazioni utilizzate per giustificare la persistenza di un modello di agricoltura intensivo ma su questo punto non ci possono essere equivoci: nel mondo circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo non vengono utilizzate, e producono il 25-30% delle emissioni di gas serra.
L’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi sta provocando una diffusa erosione dei suoli e in diverse aree agricole italiane questo fenomeno è già evidente dalla Lombardia alla Puglia, dalla Campania alla Sicilia. Il rapporto conclude che per invertire i cambiamenti climatici in atto dovremmo rivedere il modo di coltivare, evitando l’agricoltura intensiva, ad esempio optando per un modello di agroecologia e in generale sistemi alimentari a bassa produzione di gas serra, senza l’utilizzo di diserbanti e pesticidi.
Tra i suggerimenti, si sottolinea la necessità di ridurre la produzione di carne del 65%. Ciò infatti potrebbe portare ad una diminuzione della produzione mondiale di soia, utilizzata principalmente come mangime per gli allevamenti(a questo uso è infatti destinato l’85% del raccolto mondiale) e il terreno potrebbe essere convertito in aree boschive, tutelando così il suolo dall’erosione e dalla desertificazione.
Gli scienziati sottolineano come vaste aree di foreste continuino ad essere sradicate per lasciare spazio a coltivazioni di olio di palma, soia, allevamento di bestiame, cotone e bioenergia (eucalipto, pioppo, robinia). Al ritmo attuale ben 13 milioni di ettari di foreste (pari a 43 “Italie”), ogni anno, vengono convertite in piantagioni e aree di allevamento. Eppure, le foreste sono in grado di ritenere e trasformare gran parte dell’anidride carbonica responsabile del riscaldamento globale.
I dati parlano anche di come il surriscaldamento globale colpirà diversamente il Nord e Sud del mondo: le popolazioni che risiedono nelle zone aride esposte allo stress idrico aumenteranno tra i 35 e 522 milioni. E questi paesi ne sono coscienti. È di luglio la notizia che ha fatto tanto scalpore per cui l’Etiopia ha fatto piantare circa 350mila alberi per affrontare i cambiamenti climatici.
A fine settembre l’Ipcc ha pubblicato un nuovo rapporto, anticipato dal magazine Wired, relativo alle conseguenze del surriscaldamento globale sulle risorse idriche mondiali. Secondo il rapporto, se il riscaldamento globale non si interrompe a 1,5 gradi, il livello del mare si innalzerà abbastanza da costringere 280 milioni di persone a migrare nell’entroterra. In Europa in pericolo sono i Paesi Bassi, che si trovano al di sotto del livello del mare con il punto più profondo a 6.7 metri. L’innalzamento del livello del Mediterraneo, invece, riguarderebbe tutte le regioni italiane bagnate dal mare. Lo scorso luglio, l’Enea, l’ente pubblico di ricerca nei settori dell’ambiente e dell’energia, ha aggiornato la tabella con ulteriori 7 aree costiere a rischio inondazione .
Per capire meglio l’enormità del problema, basti pensare che è già la seconda volta in un secolo che la Groenlandia si scioglie, ed è accaduto sempre nell’ultimo decennio e che gli Stati Uniti, nel triennio 2016-2018 hanno speso il più alto numero di dollari per sopperire a disastri ambientali.
Gli oceani stessi non versano in buona salute sia per la diminuzione della fauna marina che per il degrado delle risorse idriche. Tra il 1972 e il 2012 il numero di pesci è diminuito del 50%, anche a causa della pesca eccessiva.Non dobbiamo però dimenticarci che gli oceani hanno un ruolo vitale nel mantenimento dell’equilibrio climatico:hanno assorbito un quarto della CO2 che abbiamo emesso e oltre il 90% del calore aggiuntivo generato dalle emissioni di gas serra dal 1970. Gli oceani trattengono e trasformano l’aumento delle temperatura terrestre e permettono di fatto la vita sul pianeta.
La nostra terra, la nostra casa, è regolata da meccanismi perfetti ed equilibri delicati che permettono la vita come la conosciamo. Gli scienziati dell’IPCC denunciano che abbiamo solo 11 anni per correre ai ripari e mantenere il riscaldamento globale ad un massimo di 1,5 gradi. La scienza ci dice che il cambiamento climatico corre molto più in fretta di noi. Non c’è tempo da perdere.
Articolo di Lia Curcio