Julián Castro, ex sindaco di San Antonio, ha annunciato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti sia in inglese che in spagnolo. “Yo soy candidato para presidente de Estados Unidos” non sarebbe sorprendente, considerando il suo nome e i suoi suggerimenti linguistici. In effetti, lo spagnolo di Castro è piuttosto debole, come lui stesso ha ammesso diverse volte.
Parlare la lingua dei propri antenati non è richiesto per i candidati che fanno risalire la loro origine ad altri gruppi etnici. Nel caso dei candidati latinos, è considerato un requisito fondamentale. Diversi avversari di Castro per la nomination democratica, tuttavia, sono in realtà bilingui. Beto O’Rourke e Corey Booker parlano uno spagnolo accettabile anche se non eccellente. Pete Buttigieg parla anche spagnolo e parecchie altre lingue, tra le quali il norvegese, francese, italiano, maltese, arabo e dari, con diversi livelli di fluidità.
Se i candidati anglo parlano lingue straniere, lo consideriamo un vantaggio. Se un candidato latino parla spagnolo, è considerato semplicemente un requisito basico. Se qualcuno come Castro non lo parla, o parla con notevoli limiti, viene considerato carente politicamente. Nessuno si aspetterebbe che Donald Trump parli tedesco perché suo nonno era nato in Germania. Come Castro, l’attuale presidente è un americano di terza generazione (seconda da parte di madre, nata in Scozia).
Quando gli immigrati vengono negli Stati Uniti da paesi non anglofoni, fanno fatica a imparare la lingua dominante del nuovo paese. Di conseguenza, l’integrazione diventa difficile a causa di una serie di fattori, in particolare la padronanza della nuova lingua. Imparare l’inglese può essere molto difficile soprattutto per coloro che vengono negli Stati Uniti da adulti. Inoltre la complessità della lingua può rappresentare un serio ostacolo per individui con alfabeti non romani ma anche a causa della mancanza di tempo e dell’istruzione limitata nella lingua madre degli immigrati. Sebbene la lingua straniera possa essere parlata a casa, i bambini di genitori immigrati sono spesso incoraggiati a concentrarsi sull’inglese, che è giustamente considerato il passaporto all’integrazione e la porta alle opportunità nel nuovo Paese. Parlare una lingua straniera, come lo spagnolo, può essere spesso visto con scetticismo e derisione. Non era insolito che gli scolari immigrati venissero rimproverati o addirittura puniti per parlare la lingua dei genitori invece dell’inglese.
La seconda generazione è spesso ancora legata alla lingua e alla cultura dei genitori, ma la cultura inglese e americana diventano dominanti. L’autore di queste righe ha cugini di primo grado che conoscono a malapena alcuni rudimenti dell’italiano nonostante il fatto che i loro genitori siano nati in Italia. Anche la cultura dei genitori inizia a prendere il secondo posto. L’amore per il calcio è spesso sostituito da sport americani tradizionali come il football, il basketball o il baseball.
Se la seconda generazione mantiene un po’ della lingua dei genitori, la terza generazione in genere la perde completamente. I nipoti degli immigrati manterranno alcuni tratti culturali dei nonni, come la cucina e altri costumi, ma in realtà la lingua e le tradizioni del vecchio Paese verranno sostituiti in grande misura da quelli americani.
Castro non è diverso dagli altri americani di terza generazione. Nato negli Stati Uniti, ha fatto le scuole elementari e superiori in inglese, conseguendo poi una laurea alla Stanford University e infine una seconda laurea in giurisprudenza alla Harvard University. Una storia di successo americano ottenuta ovviamente con la lingua del paese: l’inglese. Tuttavia, il suo nome lo lega alla lingua spagnola, perché nella mente di molti americani, i latinos dovrebbero conoscere lo spagnolo. Ciò è dovuto in parte all’importanza della lingua spagnola in America. Ci sono oltre 41 milioni di parlanti spagnoli negli Stati Uniti. Circa il 65 percento di loro parla anche inglese con vari livelli di padronanza. Se gli Stati Uniti fossero un Paese di lingua spagnola, si classificherebbe al quarto posto dopo il Messico (121 milioni), la Colombia (48 milioni) e la Spagna (46 milioni). Lo spagnolo negli Stati Uniti si trova quindi in una posizione diversa rispetto alle altre lingue degli immigrati per i suoi numeri, ma anche per ragioni storiche.
I candidati presidenziali trovano lo spagnolo una lingua utile per raggiungere gli elettori latinos. È vero che alcuni latinos possono vedere un candidato anglo che usa lo spagnolo solamente per entrare nelle loro grazie, in genere parlare spagnolo durante una campagna politica comporta vantaggi. George W. Bush ha usato il suo limitatissimo spagnolo a suo vantaggio, ottenendo circa il 40% del voto latino nelle elezioni presidenziali del 2004, un risultato eccellente per un repubblicano.
La limitata conoscenza dello spagnolo di Castro avrà scarso effetto per una vittoria della nomination democratica. Tuttavia, la convinzione che il suo cognome richieda la conoscenza dello spagnolo è un altro ostacolo che i candidati delle minoranze devono superare. Nel caso di Barack Obama, il fatto che suo padre fosse nato in Kenya ha messo in discussione la legittimità della sua cittadinanza nonostante il fatto che il 44esimo presidente fosse nato nelle Hawaii. Se Castro non vince la nomination, potrebbe avere buone possibilità come candidato alla vice presidenza. Nel frattempo, però, sta migliorando il suo spagnolo. La conoscenza di questa lingua non è indispensabile, ma sicuramente utile non solo in politica ma per stabilire l’identità etnica. I bambini di Castro, americani di quarta generazione, vengono istruiti in inglese e spagnolo. Una mossa positiva non per futuri vantaggi politici ma per dimostrare che la conoscenza della lingua dei nostri antenati ci rende più americani.