L’Ambascatrice dell’Iraq presso la Santa Sede, dottoressa Amal Al-Rubaye, mi riceve in un bellissimo studio dove trovano spazio elementi d’arte irachena e italiana, quasi a significare la vicinanza culturale tra i due Paesi. Su una parete è incorniciata una foto con Papa Francesco, che è stato informato dall’Ambasciatrice circa la situazione degli orfanotrofi e dei tantissimi bambini rimasti orfani a causa degli scontri che hanno avuto come vittime gli yazidi e altre popolazioni, travolte dall’ondata di violenza del’ISIS. “Il Papa ha promesso che saranno inviate delle suore a prendersi cura di loro: purtroppo non è possibile trovare per tutti una famiglia adottiva.”, mi dice l’Ambasciatrice.
Il nostro colloquio ha avuto come elemento principale la condizione femminile in Iraq e, più in generale nel mondo arabo. Infatti, sono troppi i pregiudizi e le informazioni sbagliate al riguardo, e mai come in questo momento è necessario conoscere per comprendere.
S.E. Ambasciatrice signora Amal Al-Rubaye, quali sono le Sue impressioni sull’Italia dopo la sua nomina presso la Santa Sede?
Mi sono insediata lo scorso aprile e la prima impressione che ho avuto dell’Italia è stata quella di un bellissimo Paese, sia dal punto di vista paesaggistico che culturale. Come l’Iraq, anche l’Italia possiede interessanti siti archeologici, e le reciproche contaminazioni culturali sono diverse. Mi riferisco in particolare alla Mesopotamia e ciò che ha significato a livello storico e artistico. Purtroppo, alcuni nostri importanti reperti sono stati danneggiati o distrutti dall’ISIS, rendendo quanto mai necessaria la ricostruzione, che stiamo avviando. E’ stato veramente molto doloroso assistere allo scempio di tanta inestimabile bellezza.
Gli italiani si sono dimostrati un popolo socievole e generoso, inclusivo nei confronti della comunità irachena e dotato di caratteristiche comuni all’Oriente, quali l’ospitalità, l’accoglienza, la disponibilità verso lo straniero e l’empatia.
Il lettore medio italiano non ha purtroppo una visione sufficientemente chiara della situazione in Iraq. In particolare, l’idea della donna irachena e in via più generale araba, è legata al preconcetto della sottomissione e della negazione di diritti e possibilità concessi invece alle donne europee. Potrebbe aiutarci a comprendere meglio?
Si tratta di una generalizzazione sbagliata, in quanto già 1300 anni fa l’Islam ha riconosciuto alla donna dei diritti fondamentali. Pensiamo per esempio alla selezione delle nascite, quando le bambine venivano uccise appena venute al mondo, in quanto femmine. L’Islam ha fermato questa strage, così come ha limitato il fenomeno della poligamia a 4 matrimoni, ed eliminato le unioni combinate senza il consenso della donna. Purtroppo, in alcuni villaggi questo succede ancora, ma in linea generale le cose sono migliorate radicalmente, grazie ad una maggiore crescita culturale.
Proprio come in Italia, anche in Iraq le donne partecipano attivamente alla vita politica, occupando il 25% circa dei posti in Parlamento. Hanno accesso alla magistratura e alle altre professioni. Io stessa sono un esempio di parità di genere: dopo la laurea in medicina, ho lavorato per 21 anni nelle province irachene e contemporaneamente,partecipando attivamente anche alla vita politica del Paese. Ho ricoperto diversi ruoli, e sono stata la prima a Ambasciatrice a presentare la lettera di accreditamento per rappresentare l’Iraq in Malesia .
L’Islam e le tradizioni dei Paesi arabi rivolgono molta attenzione alla donna, avendone cura e sostegno. Basti pensare, per esempio, alla figura della madre, che a livello familiare riveste una grande importanza, anche maggiore di quella del padre. Le donne sono fondamentali nella ricostruzione dell’Iraq, soprattutto nei territori che hanno subito l’occupazione dell’ISIS, e che ora necessitano di interventi a livello economico, culturale e umanitario, visti i danni subiti.
Nadia Murad ha ricevuto il Premio Bellisario, e raccontato ancora una volta la sua vicenda, che accomuna tante donne. Quali sono a suo avviso le strategie utili per gestire la situazione delle donne rese schiave dallISIS, questione dalle infinite implicazioni umanitarie, sociali e politiche?
Nadia Murad è indubbiamente una donna che ha avuto il coraggio di scappare dalla casa-carcere di Mosul, nella quale era rinchiusa e sottoposta a sevizie e violenze, e la forza di raccontare al mondo cosa era accaduto a lei e alle tante altre donne rese schiave dall’ISIS. Quando una donna è vittima di violenze di questo tipo, possono scattare due reazioni: o si tace, come fanno in molte per paura o per vergogna, o si reagisce, come ha fatto Nadia. Purtroppo, il silenzio non è quasi mai la scelta migliore, in quanto viene interpretato come una resa, e non fa che alimentare ulteriore violenza. Nadia è quindi un esempio di resilienza e resistenza.
A seguito delle violenze e delle uccisioni subite, moltissimi bambini sono rimasti orfani; tante donne hanno avuto gravidanze a seguito degli stupri dei miliziani, e tutto questo non può che considerarsi un’emergenza umanitaria alla quale va cercata una soluzione in tempi brevi.
La ringrazio molto per il Suo tempo e la Sua disponibilità. Vorrebbe dire qualcosa ai nostri lettori?
Ringrazio per l’opportunità che mi è stata concessa, e invito i lettori ad approfondire la storia e la cultura araba e irachena: potranno scoprire interessanti e inaspettati punti in comune con l’Italia.