Venerdì 20 settembre 2019, in tutta l’Algeria, milioni di cittadine e cittadini sono usciti, in massa, determinati a sfidare i divieti e i blocchi stradali del regime. “Ascolta generale, ascolta generale: Stato civile e non militare!”. recita lo slogan principale della giornata. 31 settimane dopo l’inizio il 22 febbraio scorso, nonostante l’isolamento e il vergognoso silenzio dei mass-media di tutto il mondo, la protesta civile e non-violenta del popolo algerino non mostra segni di cedimento.
Soli ma determinati
Dalle prime ore dell’alba, le strade della capitale hanno cominciato a riempirsi di manifestanti: un vero e proprio fiume in piena. Questo venerdì è una tappa cruciale, in quanto l’attuale uomo forte del paese, il generale maggiore Salah GAID si è dimostrato deciso a voler strangolare il Hirak (il movimento) di protesta a tutti i costi.
In effetti negli ultimi giorni la repressione si è fatta feroce, molte manifestazioni sul territorio sono state violentemente represse. Mentre alcuni attivisti conosciuti sono stati arrestati. Si tratta in particolare di Karim Tabou, di Samir Benlarbi e Fodil Boumala, tre attivisti membri del coordinamento delle Forze dell’Alternativa Democratica. Mentre gira la voce dell’arresto (o più esattamente del rapimento, viste le modalità con le quali sono stati prelevati) di un quarto attivista dello stesso coordinamento. Si tratta dell’avvocato e attivista per i diritti umani Mustapha Bouchachi.E’ chiaro che la repressione sta a colpire il coordinamento che propone un cambiamento radicale del sistema politico, con elezione di una assemblea costituente, riscrittura della costituzione e della legge elettorale.
Questi nuovi priogionieri vengono ad aggiungersi a Louisa Hannoun, portavoce del Partito dei lavoratori (PT) arrestata sin dalle prime settimane del Hirak, e al vecchio partigiano dell’indipendenza il Comandante Lakhdar Bouregaa. Senza dimenticare circa una ottantina di manifestanti arrestati per aver portato in piazza la bandiera del popolo amazigh.
In questa lotta solitaria in assenza di copertura mediatica internazionale e di messaggi o atti di solidarietà provenienti dall’estero, il popolo sembra determinato a portare avanti la sua lotta fino alla vittoria finale. Unico obiettivo: partenza della mafia al potere, fine dell’egemonia dei militari, fine della corruzione e della dittatura e fondazione di una nuova repubblica basata sul dialogo e la concertazione.
Un uomo solo alla guida
A livello della situazione politica, poco è cambiato dal mio ultimo articolo (Algeria. Campioni di calcio… ma non di democrazia).
Nell’opposizione ci sono ancora le divisioni tra partiti “conservatori” e “progressisti” sulla direzione da dare al paese. Mentre la “Istanza nazionale per il dialogo e la mediazione“, nominata dal governo, dopo aver “lavorato” praticamente a porte chiuse, ha dichiarato aver sentito il parere di migliaia di organizzazioni, partiti e associazioni… e ha proposto una “road-map” esattamente uguale a quella già proposta dal capo dello Stato Maggiore dell’esercito e dal governo provvisorio. Tutti sembrano d’accordo per organizzare elezioni presidenziali al più presto.
Due settimane fa, il Generale Maggiore Salah Gaid, rimasto praticamente solo al comando del paese, ha annunciato in effetti, l’apertura delle iscrizioni alle elezioni presidenziali previste per il 15 dicembre prossimo. Nonostante il rifiuto netto delle piazze e della maggior parte dell’opposizione, sembra più che determinato ad organizzare la consultazione elettorale a tutti i costi.
E’ almeno quello che traspariva dal suo ultimo discorso pronunciato di fronte ad alti ufficiali dell’esercito nazionale il 18 settembre scorso, in una caserma di Tamanrasset, nel profondo Sud Algerino (Qui il testo integrale). Le elezioni presidenziali da organizzare al più presto, sotto la supervisione di una commissione “indipendente” nominata da lui stesso, sembra essere per il Generale, l’unica via possibile.
E per spianare la strada verso questa soluzione unilaterale, il generale ha dichiarato di aver dato alle unità della Gendarmeria Nazionale direttive “per far fronte con fermezza a queste pratiche sovversive (spostamento delle folle verso i centri delle città. Ndr), attraverso l’applicazione rigorosa delle leggi in vigore, compresa il blocco dei veicoli utilizzati a tale fine, tramite la confisca e l’imposizioni di pesanti sanzioni economiche ai loro proprietari.»
Una violazione senza precedenti del diritto alla mobilità sul territorio nazionale, sancito dalla costituzione algerina, rispondono gli avvocati usciti ieri in manifestazione nelle città di Tizi Ouzou e Bejaia, nel Centro del paese. Non esiste in effetti nessuna legge algerina che sanziona l’uso di veicoli individuali o collettivi per recarsi a una manifestazione. Mentre esiste un articolo che garantisce a tutti i cittadini il diritto di mobilità su tutto il territorio nazionale.
Il venerdì della sfida
E’ per tutte queste ragioni che la manifestazione di venerdì riveste una importanza particolare agli occhi dei militanti del Hirak. E’ per questo che alcuni erano partiti da alcune città del Centro a piedi per raggiungere il cuore della Capitale Algeri: il centro del potere algerino. Per questo le proteste sono iniziate sin dal mattino e i numeri raggiunti oggi ricordano quelli delle prime settimane della protesta.
Unico bersaglio degli slogan e dei canti: Gaied Salah. Il vecchio generale ultra ottantenne che ha approfittato delle manifestazioni per mettere in carcere tutti gli uomini forti del regime e ritrovarsi così solo al commando. Ma questo non l’ha reso tanto forte. Anzi, la sua aggressività, i discorsi continui che tiene di fronte all’alto comando dell’esercito, dimostrano che ha paura. Che la sua sedia è posta su carboni ardenti. La sua ossessione ad allineare sempre l’alto commando dell’esercito davanti a sé, dimostra che è dell’esercito stesso che ha paura. Non dei civili. E’ da quella massa di uomini in alto uniforme che potrebbe partire un nuovo colpo di Stato che lo getterebbe in pasto all’ira del popolo. Ha usato i suoi ex-colleghi di regime come capri espiatori, ora potrebbe toccare a lui.
La strada algerina non ne ha paura. Chiede la sua testa. Dal vecchio slogan delle primavere arabe: “Achaab yurid suqut annidham”, il popolo vuole la caduta del regime, le piazze algerine hanno confezionato uno su misura per lui: Il popolo vuole la caduta di al Gaied. Qualcuno dall’interno dell’esercito prima o poi sentirà l’appello e prenderà le proprie responsabilità di fronte al popolo e alla Storia.
Una sfida dura e che è chiamata a durare nel tempo. Ma a testimoniare della determinazione del popolo algerino e della sua maturità politica, a nessun momento, l’opzione nonviolenta della lotta è stata messa in discussione. «Silmiya silmiya», pacifica pacifica. resta la parola d’ordine generale. Non c’è miglior strumento per far cadere un potere costruito sulla violenza.