«Un colpo di stato civile si è svolto il 19 agosto con la nomina di amministratori fiduciari nei nostri comuni». Lo ha dichiarato [1] Sezai Temelli [nella foto], co presidente del Halklarin Demokratik Partisi (HDP), il Partito Democratico dei Popoli, all’indomani che il Ministero degli Interni della Turchia, ha deciso di rimuovere i sindaci eletti delle città di Van [2], Diyarbakir e Mardin, località con forte presenza curda amministrate proprio all’HDP.
Al posto loro, come commissari straordinari, sono stati nominati i governatori provinciali delle stesse città. Esattamente come avvenne, per mano dello stesso governo, nel 2016 quando ad essere rimossi furono 94 sindaci. Il governo di Ankara accuserebbe i tre sindaci di avere legami col Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), organizzazione paramilitare curda dichiarata “terrorista”.
La vicenda, agli osservatori esterni, potrebbe sembrare assurda se solo si fa riferimento alla straordinarietà del provvedimento che non fa seguito ad alcuna inchiesta o procedimento giudiziario. Ma non si tratta di un un fulmine a ciel sereno !
Già lo scorso 12 agosto, appena conclusa la Eid al-Adha (la “festa del sacrificio”) un’importante festività musulmana, il governatore Mehmet Emin Bilmez aveva emesso un’ordinanza [3] che vietava, per la durata di quindici giorni, nella provincia di Van, ogni genere di corteo, incontro, riunione, e perfino l’emanazione di comunicati stampa. Il provvedimento evidentemente liberticida è stato giustificato col fine di «garantire la sicurezza nazionale, proteggere l’ordine pubblico».
Lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan, in un discorso tenuto lo scorso febbraio, aveva annunciato il ripetersi dei provvedimenti del 2016 qualora, a marzo, fossero stati eletti sindaci, a suo avvivo, «legati alle organizzazioni terroristiche».
Le opposizioni: scendiamo in piazza; La polizia compie centinaia d’arresti
«Non accettiamo questo attacco contro la volontà del popolo», ha sentenziato Temelli. L’esponente politico ha quindi annunciato che «saremo testardamente nelle piazze tutti i giorni».
Rispedendo al mittente le accuse governative, Temelli ha invece esplicitamente accusato il governo di corruzione: «Quello che fanno a Diyarbakır, Van e Mardin è evidente. Il furto è ovvio. Attingono risorse dai subappaltatori». Il progetto politico del Halklarin Demokratik Partisi (HDP) – ha concluso il co-presidente del partito – è quello di ricercare la democrazia e «la pace per il popolo della Turchia, per il popolo siriano e per il popolo iracheno».
La polizia, tuttavia, ha reagito alle proteste nelle piazze con diverse operazioni che hanno condotto centinaia di persone in detenzione provvisoria. Tra loro, anche numerosi consiglieri e assessori comunali.
Di «colpo di stato», invece, ha parlato [8] Faik Öztrak vicepresidente e portavoce dell’altro partito di opposizione, lo storico e laico CHP, Cumhuriyet Halk Partisi, ovvero il Partito Popolare della Repubblica. Öztrak ha accusato il presidente Erdogan di violare «i confini tra il partito al potere e lo stato» e di strumentalizzare il terrorismo per violare la volontà nazionale.
I tre sindaci erano stati eletti, in maniera quasi plebiscitaria lo scorso 31 marzo.
A Van, città di 360.000 abitanti in Anatolia orientale, Bedia Özgökçe Ertan era stato eletto col 54% delle preferenze.
A Mardin, cittadina di 87.000 in Anatolia meridionale che sovrasta il confine siriano, invece, il sindaco Ahmet Türk aveva ottenuto il 56%. Oggi di cosa sta succedendo in quest’area si sa poco. Il sito internet municipale è “oscurato” [4].
Poco più a nord di quest’ultima città, sta Diyarbakir, città di 597.000 abitanti, la cosiddetta “capitale del Kurdistan”. Qui il sindaco Adnan Selçuk Mızraklı era stato eletto col 63% dei suffragi.
I partiti filo-Ergodan agitano il pericolo terrorismo
«La democrazia non è rappresentata solo dalle urne», ha provato a spiegare [5] Mahir Ünal, vice presidente del Adalet ve Kalkınma Partisi, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ovvero il partito del presidente Erdogan. Ünal ha ribadito le accuse, rivolte ai sindaci rimossi, di «aiutare e difendere l’organizzazione terroristica». Posizione sostenuta [6] con forza da Omer Celik, ministro degli interni e portavoce dell’AKP. Celik ha sostenuto che, nei Comuni commissariati, le strutture del comune venivano utilizzate per fornire servizi ai terroristi e persone associate al terrorismo venivano impiegate negli Enti. «La lotta al terrorismo è la prima condizione per la difesa della democrazia», ha concluso.
Il Milliyetçi Hareket Partisi (MHP), ovvero il Partito del Movimento Nazionalista, formazione politica estremista e nazionalista ed alleata di Erdogam ha rilasciato una dichiarazione per voce del vice presidente Semih Yalcin. Questi ha assicurato [7] che l’MHP «continuerà a sostenere i giusti sforzi del governo nella lotta contro il terrorismo». Accusando l’HDP di essere la «ala politica del PKK».
I Commenti Internazionali: Erdogan annulli il provvedimento
Chiaramente schierati contro il provvedimento del governo, sia pure con la normale moderazione che contraddistingue le dichiarazioni politiche, i primi commenti internazionali.
«Profonda preoccupazione» per delle «pratiche che compromettono seriamente l’attuazione della democrazia locale» ha espresso [9] Anders Knape, Presidente del Congresso dei poteri locali e regionali dell’Unione Europea.
Maja Kocijancic, portavoce della politica estera e di sicurezza dell’UE, ha dichiarato [10] che la vicenda «solleva serie preoccupazioni in quanto mette in dubbio il rispetto dei risultati democratici delle elezioni del 31 marzo».
Kati Piri, a nome del gruppo Socialisti e Socialdemocratici (S&D) del Parlamento europeo di cui è vicepresidente, ha chiesto [11] «al governo di annullare questa decisione ingiusta».
Per Erdogan, tuttavia, queste dichiarazioni sono totalmente ininfluenti.