Il voto proTAV del 7 agosto al Senato può essere assunto a data di riferimento per indicare la saldatura irreversibile del cosiddetto “partito del PIL”, cioè della devastazione dell’ambiente in nome degli affari realizzati a spese dell’erario, con le truppe raccolte da Salvini intorno alle mobilitazioni contro migranti, zingari, poveri e persone solidali, cioè con un razzismo dichiarato, praticato e orgogliosamente esaltato.
La saldatura tra affari e discriminazione istituzionalizzata riunisce gli ingredienti di un regime cui non manca la figura che ne interpreta e rappresenta lo spirito. E se a qualcuno Salvini continua a sembrare un personaggio di poco “spessore” e non uno “statista”, va ricordato che neanche Mussolini era un granché. La distanza tra la loro statura personale e i danni che hanno inflitto al paese è per entrambi immensa. Gli strumenti necessari all’esercizio di un potere repressivo, feroce e cinico sono di nuovo tutti in campo anche grazie a chi sarebbe addetto alla tutela della Costituzione. Quanto all’opposizione istituzionale, sia di governo che non, al nuovo regime, si è dissolta da tempo.
Se l’Italia, ancora una volta, appare un laboratorio di tendenze politiche, sociali e culturali destinate a segnare un’epoca, il resto del mondo occidentale e di quello emergente non sta molto meglio. Il razzismo vissuto come mobilitazione contro i migranti, le minoranze e il dissenso, indossando le vesti del nazionalismo (Prima noi!) e del populismo (Abbasso i ricchi!) sta avanzando a passi da gigante ovunque: negli States di Trump come nell’India di Modi, in Australia come in Cina, in Russia come in Turchia e ovunque si salda con il partito degli affari e con un sostegno esplicito o mascherato alle forme più feroci della globalizzazione, cioè del dominio mondiale della finanza.
L’Europa non è da meno: l’avanzata delle destre razziste e nazionaliste non ha scalzato l’establishment che controlla le istituzioni dell’Unione, né in realtà si propone di farlo: si candida invece, come in Italia, a esserne la truppa di rincalzo e si integra con esso. Altrove questo processo incontra forse una resistenza maggiore che in Italia (basta poco!), ma ovunque l’opposizione si presenta per lo più con armi spuntate, ingessata com’è, anche nelle sue manifestazioni meno spente, dal peso di un passato che non passa: un rimando tanto generico quanto inconsistente al socialismo, il richiamo a un keynesismo che la riconsegna all’illusione di politiche nazionali in un mondo ormai globalizzato e, in entrambi i casi, uno statalismo rinverdito dalla proposta di uno “Stato imprenditore”. Il tratto più diffuso ovunque è comunque il rigetto degli immigrati (anche là dove la loro presenza è irrinunciabile e persino dove è minima o inesistente).
“>Che cosa ha sollevato quest’ondata planetaria di rifiuto dei migranti, fino a farne ovunque il tema centrale della politica? È verosimilmente un sentire e una pratica, che nascono dalla convinzione, per lo più inespressa, che nel mondo non ci sia più posto per tutti: e la presenza degli “stranieri”, anche quando sono pochissimi, è per molti lì a dimostrarlo. Per i più, con un collegamento inespresso e persino inconsapevole alla crisi climatica in corso, di cui si è poco informati. Ma per chi quel collegamento invece lo fa esplicitamente – non, probabilmente, Salvini e la sua corte, o Trump e la sua, ma sicuramente gli Stati maggiori della Nato, allertati sul tema dal Pentagono da oltre 15 anni – la risposta è univoca: bisogna attrezzarsi militarmente per respingerli e ricacciarli nei territori da cui cercano di scappare, anche a costo del loro sterminio, di cui si occupa da tempo nell’ombra, per conto dell’Unione Europea, l’agenzia Frontex, mandando allo scoperto personaggi come Orban e Salvini. Il risvolto di questa “politica estera” (l’unica che la Commissione Europea sa praticare) è la militarizzazione della vita sociale anche all’interno di ogni paese, da Macron a Orban. E anche in questo campo l’Italia fa da battistrada.
Ma nelle retrovie di quelle feroci barriere anti-migranti anche l’Europa sarà presto sconvolta dalla crisi ambientale, anche se, forse, non con la stessa virulenza dei paesi periferici più esposti, innescando politiche sempre più repressive per prevenire ogni reazione. L’esito di questa spirale è la catastrofe climatica. Nessuna delle forze politiche in campo, e meno che mai quelle economiche, sono oggi in grado di combattere veramente la crisi climatica in corso: i cambiamenti da promuovere sono al di là della loro immaginazione.
Le uniche a poterlo fare sono per ora le nuove generazioni raccolte dietro la figura di Greta Thunberg, in attesa che altre forze sociali, questa volta di adulti, escano dal letargo. I giovani non vogliono e non possono accettare il destino di morte, o di esistenza al limite della sopravvivenza, che il “sistema” riserva loro. Per questo è importante che dietro la loro ribellione – l’unica che può spezzare la morsa tra razzismo e dominio della finanza stretta intorno al loro futuro – si raccolgano tutte le altre rivendicazioni di giustizia sociale a cui nessuna delle attuali opposizioni politiche riesce più a offrire una prospettiva. È questo il terreno di lotta, ma anche e soprattutto di elaborazione e di sperimentazione di nuove modi di vivere e pensare, che dovrebbe vedere impegnate tutte le persone di buona volontà.