In carcere si continua a morire, nessuno ne parla, lo farò io con questo breve racconto, ma le storie vere non piacciono, per questo scriverò che questa è una storia inventata.
Diritto di lottare:
Non era certo la prima volta che Mario entrava in carcere, ma di sicuro quella sarebbe stata la più brutta. Questa volta là fuori c’era qualcuno che lo aspettava. C’erano Anna e la piccola Caterina di quattro anni. Solo per loro aveva messo la testa a posto. A Mario gli avevano dato definitivi otto anni per una vecchia condanna per rapina e aveva deciso di costituirsi. È difficile che i buoni paghino per i loro crimini, mentre i cattivi li pagano tutti fino all’ultimo giorno. La moglie e la figlia lo avevano accompagnato, per fargli coraggio, davanti al portone del carcere. Lo avrebbero aspettato per tutto il tempo necessario e tutte le settimane sarebbero andate a trovarlo. Mario sapeva che con un po’ di fortuna e buona condotta, invece di otto anni, ne avrebbe scontati molti di meno. E fra qualche anno avrebbe potuto dare un fratellino a Caterina. Forse anche prima se fosse riuscito ad andare in permesso. Per loro, anche se non si stava bene per il sovraffollamento, si era costituito nel carcere di Milano, per stare più vicino alle sue due donne. E una volta dentro aveva chiesto subito di lavorare per mandare qualche soldo a casa. E dopo una settimana lo avevano messo a fare l’elettricista. Il lavoro che faceva fuori. Mario nella vita non era mai stato fortunato e non lo fu neppure quella volta. All’improvviso, dopo appena un mese, a causa del sovraffollamento, lo impacchettarono e lo trasferirono in Sardegna, nel carcere di Sassari. A causa della grande distanza e delle loro difficoltà economiche, Anna e Caterina non potevano più andare a trovare Mario.
Lui scriveva a lei:
“Amore, ho paura di non farcela a restare tanto tempo senza vedere te e la bambina. Ho paura di morire di nostalgia. Ti penso in ogni battito del mio cuore e in ogni pensiero della mia mente. Hai circondato il mio cuore d’amore. Sei l’alba della mia vita. E la luce della mia alba. Ti bacio sulle labbra.”
Lei scriveva a lui:
“Resisti amore, ti ho incontrato perché eri mio da sempre. Sei stato la prima cosa bella che i miei occhi hanno visto. Il mio cuore e quello della bambina ti aspettano. Mi mancano i tuoi baci, le tue carezze, il tuo odore, mi manchi tu. Io e la bambina ti amiamo più di quello che tu pensi. Ti baciamo il cuore.
Lui scriveva a lei:
“Ci sono dei momenti in cui quando penso a te e alla nostra bambina il mio cuore trabocca d’amore. È bello essere amati da te, ma ci sono dei momenti in cui questo amore mi fa stare male perché non posso vederti, né abbracciarti. Tesoro, cerca di stare serena perché se soffri sto male e fai più male a me che a te. Grazie dell’amore che mi doni. Ti mando milioni di baci, più uno, il più importante.”
Lei scriveva a lui:
“Resisti amore, tu hai il mio cuore ed io il tuo. Ti mando tutti i miei pensieri e quelli della bambina. Il tuo amore è l’energia che fa battere il mio cuore. Amore, continua a sognare: i sogni a forza di crederli diventeranno realtà.”
Ma Mario, non potendo più vedere Anna e Caterina, cadde in depressione. E l’amore che fuori l’aveva reso più forte e determinato, in carcere lo rese più fragile e debole, ma non per questo rinunciò a lottare. Mario non aveva mai perso senza combattere.
Per rispettare sé stessi bisogna lottare per i propri diritti. Mario scrisse e si rivolse a tutte le istituzioni:
“Come fa il carcere a rieducare se sei sbattuto come uno straccio da un carcere all’altro, lontano da casa, chiuso in una cella come un cane, privato degli affetti e di umanità? La legge indica che nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in carceri prossimi alla residenza della famiglia. La legge stabilisce che «La detenzione deve avvenire nella maggioranza dei casi in una località il più possibile vicino all’ambiente familiare». Il sottoscritto, per ovvi motivi di distanza e per motivi finanziari, in questo carcere della Sardegna non può usufruire di colloqui con la propria compagna e la propria figlia. Premesso che la legge degli uomini è dalla propria parte, la legge di Dio pure ed altrettanto la legge del cuore e dell’amore, per questi motivi il sottoscritto chiede quanto prima di essere trasferito in un carcere della Lombardia.”
Passarono i giorni e le settimane, ma nessuno rispondeva a Mario. Spesso è lo Stato stesso a non rispettare le Leggi. Le sue stesse Leggi. Mario si stancò di aspettare. Da molto tempo era convinto che solo gli stessi prigionieri potessero portare la legalità in carcere. E decise di lottare per i propri diritti. In carcere non c’è giustizia, ma non bisogna mai rinunciare a cercarla. E per cercarla bisogna muoversi, soffrire, sacrificarsi e attivarsi lottando anche contro se stessi, la propria cultura e mentalità.
Mario non era mai stato il migliore in nulla, ma quella volta decise di esserlo. E pensò di tentare di essere migliore dei suoi governanti, dei suoi “educatori” e delle guardie che lo tenevano prigioniero.
Spesso in carcere non si ha che la vita per difendere i propri diritti, e Mario usò proprio quella. Iniziò uno sciopero della fame. Nel giro di una settimana perse dieci chili: da ottanta chili arrivò a pesarne settanta. All’inizio era molto sicuro di sé. Poi iniziò a sentire i primi dolori. Al ventesimo giorno di sciopero della fame, Mario non riusciva più a muoversi come i primi giorni. Si sentiva sempre più stanco. Gli facevano male i muscoli. Gli si addormentavano le gambe. Riusciva a malapena a leggere qualche pagina di qualche libro, ma subito dopo gli veniva sonnolenza. Con il passare dei giorni il suo corpo si indeboliva sempre di più, ma la sua anima era ancora più forte di quando aveva iniziato lo sciopero della fame. E iniziò a sentirsi abbastanza debole da essere forte. Per lui la vita non valeva nulla senza la possibilità di vedere sua figlia e la sua compagna. Non voleva cedere. E non avrebbe ceduto fin quando non lo avessero trasferito in un carcere vicino a casa. Con il passare dei giorni non aveva neanche più la forza di alzarsi dalla branda. Poi non ebbe più neppure la forza di avere fame. Ormai aveva solo la forza di non avere paura di morire. Mario si stava spegnendo come una candela. Eppure continuava a credere ciecamente che non ci fosse nulla di più bello che lottare per vedere la sua bambina e la sua compagna. Non c’era nulla di più bello che lottare per i propri diritti. La posta che riceveva da Anna continuava ad ammucchiarsi nella sua cella. Lui si rifiutava di leggerla. Sapeva che se lo avesse fatto, avrebbe ceduto e avrebbe iniziato a mangiare. Lui non voleva questo. Lui voleva che venissero rispettati i suoi diritti. Questa volta stava lottando affinché venisse applicata la legge. Quella legge che aveva infranto tante volte.
Mario arrivò al quarantesimo giorno di sciopero della fame. Ed era arrivato a pesare cinquantacinque chili. Stava morendo. Ormai era l’ombra di se stesso. Non aveva più forza, né energia, né rabbia. Gli era rimasto solo l’amore per sua figlia e per la sua compagna. Ormai non dormiva e neppure era sveglio, si trovava solo sospeso tra il cielo e la terra. Stava andando nel nulla, sapendo che poi non avrebbe più avuto la forza per tornare indietro. Aveva intuito che sia fuori che dentro si erano attivati per farlo ricoverare all’ospedale, per costringerlo ad alimentarsi con la forza. Negli attimi di lucidità, Mario sperava di morire prima che ci riuscissero, perché lui non avrebbe mai smesso lo sciopero della fame se prima non lo avessero trasferito in un carcere vicino casa. Questa volta lui voleva vincere. Ed era disposto, se non ci fosse riuscito, a morire pur di vedere le due persone che amava. Così Mario andò incontro al suo destino. E morì quasi senza accorgersene. La morte lo stava aspettando al di là del cancello. Gli sorrise con dolcezza. Gli venne incontro. Lo prese per la mano. Lui si voltò per vedere per l’ultima volta il suo corpo sdraiato sulla branda. Poi uscì dalla cella. Il cancello era chiuso, ma senza il corpo Mario lo attraversò con facilità. E la morte fu più buona dei suoi governanti, dei suoi educatori e dei suoi guardiani, perché lo portò per l’ultima volta a vedere sua figlia e la sua compagna. Almeno così gli sembrò di immaginare, perché quando muori la morte ti fa vedere tutto quello che desideri vedere.