Un innovativo progetto di ecovillaggio situato in un capannone industriale dismesso in provincia di Udine. Gaia Terra vuole diventare un centro in cui si impara a vivere in maniera più leggera sul pianeta Terra. Abbiamo intervistato Debora Sbaiz, la visionaria danzaterapista che lo ha fondato dopo un lungo cammino di downshifting personale.

Si trova nel comune di Rivignano, in provincia di Udine, a 2 km dal paese, su un terreno attraversato dal fiume Stella. È un ex capannone industriale in disuso risalente al 1901 nel quale si sono prodotti mattoni per 75 anni e, dal 1976 al 2015, placche di acciaio per l’industria. Soprattutto, quel capannone è da circa due anni la sede del Progetto Gaia Terra, un innovativo ecovillaggio in costruzione che nasce con un intento “educativo”, come ci spiega Debora Sbaiz, la visionaria danzaterapista che lo ha fondato.

Debora ha una storia personale ricca di svolte radicali. Dopo aver frequentato il DAMS a Bologna negli anni ‘90, si è specializzata in danzaterapia negli USA, dove ha subito iniziato a lavorare in un ospedale psichiatrico di Baltimora. Nel 2003, visto che dopo l’attentato alle Torri Gemelle era diventato insostenibile restare negli USA, Debora fa ritorno a Udine, sua città natale, dove lavora da formatrice e apre uno studio privato.

Negli anni successivi, seguendo diversi pazienti e documentandosi sempre più sullo stato di salute del pianeta, sviluppa man mano la consapevolezza che il benessere dei singoli non può prescindere da quello del loro habitat. Per questo motivo decide di dedicarsi in modo sistemico al benessere collettivo. “A un certo punto ho compreso che aiutare gli individui lasciandoli nello stesso ambiente sociale in cui il disagio si è sviluppato non serve a niente; bisogna lavorare sugli habitat sociali, crearne di nuovi e più armonici”, ci confida con vigore.

Nel 2011 Debora chiude il suo studio e inizia un percorso interiore di downshifting con lo scopo di testare in prima persona tutto ciò che si può fare per ridurre l’impatto dei singoli sul pianeta: wwoofing (volontariato in aziende agricole biologiche), autoproduzione, pratica del baratto. “Ho un’indole abbastanza radicale e sperimentatrice, per cui ho fatto diverse cose, dai più considerate strane, per poter cambiare stile di vita: dall’evitare totalmente l’usa e getta – inclusa la carta igienica – al non entrare più in un supermercato, al non lavarmi con saponi”, ci rivela. Da queste esperienze – che lei chiama “comprensioni a schiena ricurva sul campo di ortaggi” – è nato “Viaggio in verticale”, un libretto autobiografico scaricabile gratuitamente.

Da allora, e per 6 anni, ha cercato un rudere da ristrutturare con paglia e fango nella campagna friulana, fermandosi a bocca aperta davanti a quella ex fornace di mattoni immersa nel verde di un’area protetta e in riva ad uno dei fiumi più puliti del Friuli. Circa 4.500 mq su due piani alti 5 metri, con in più annessi e circa due ettari fra seminativo e bosco perfetti per praticare l’orticultura e realizzare una food forest.

Quel fabbricato incantato, gravemente colpito da un incendio che ne aveva chiuso l’attività metallurgica, le riporta a galla tutto il suo vissuto con la contact improvisation, che aveva praticato in America. “La contact è una danza in cui si improvvisa con il corpo stando in contatto fisico e che spesso viene praticata in raduni di tre giorni o più, in cui il gruppo di danzatori diventa una vera e propria comunità”, continua Debora. “Da questo concetto è nata la mia idea originaria di ecovillaggio, che poi si è integrata con tutte le informazioni apprese frequentando gli incontri della RIVE-Rete Italiana Villaggi Ecologici”.

Debora acquista la fornace nell’ottobre 2017. A gennaio del 2018 attiva una chiamata pubblica sul territorio provinciale, alla quale rispondono in 18. Allora ricorre alla facilitazione per lavorare sul gruppo e arrivare alla costituzione del primo nucleo di comunità. Dopo una serie di incontri mensili, nel giugno 2018 Debora e altre due persone si trasferiscono a vivere nella fornace. Gli altri – e tutti quelli che nel frattempo si sono avvicinati al progetto – formano un gruppo esterno che lo arricchisce di possibilità. Iniziano ad arrivare i primi volontari della rete WWOOF, forse anch’essi, come lei anni prima, all’inizio del loro percorso di downshifting.

La missione del progetto è “vivere leggeri sul pianeta”, sottolinea Debora, spiegando come questo spunto possa essere declinato in diversi modi, ciascuno per ogni singolo campo possibile di attività, tutti ricadenti però nella stessa visione di fondo: come si possono fare le cose in un’altra maniera rispetto a quella cui ci ha abituato la cultura del consumo.

Ecco dunque che le azioni del recuperare, lavare, coltivare, nutrirsi (ecc.), in quest’ottica assumono un’alta valenza politica e soprattutto educativa. È proprio l’educazione, infatti, lo scopo principale delle attività di Gaia Terra. Sebbene il progetto sia ancora distante dall’essere a regime, sono già stati attivati la food forest, gli orti e numerosi corsi ed eventi: dai mercatini del riuso alle iniziative contro la moria delle api, dalla permacultura al cibo fermentato, dall’ecologia sociale alla medicina orientale, e poi – naturalmente – danza, danzaterapia e contact improvisation.

Gaia Terra è dunque un contenitore di progetti, una fucina di sperimentazioni per creare possibilità alternative di abitare il pianeta a basso impatto. Per esempio attraverso l’agricoltura naturale, la bioedilizia, il consumo critico, il riciclo e il riuso, l’alimentazione consapevole, le iniziative culturali e artistiche, tutte attività oggi già attive o in cantiere.

Attualmente, come si è detto, nella fornace vivono stabilmente Debora e altre due persone, a cui si aggiungono i volontari provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero, che con loro stanno lavorando alla ristrutturazione del capannone per adattarlo alle esigenze del nascente ecovillaggio: sala da pranzo, cucina, servizi, aula didattica, oltre alle abitazioni per i residenti. “È straordinario vedere come un progetto nato dalla volontà di una singola persona ora sia un sogno condiviso”, aggiunge Debora. E quella singola persona, oggi unica proprietaria della struttura, ha già affermato di volerla donare completamente al progetto “perché Gaia Terra possa viaggiare nel futuro e diventare di proprietà delle prossime generazioni”.

Per chi volesse dare una mano, il Progetto Gaia Terra  è aperto ad accogliere le energie sia di chi condivide i suoi valori, sia di chi inizia ora il proprio personale percorso di cambiamento. “Cerchiamo persone che abbiano attitudine a stare con gli altri, alla condivisione, al reciproco scambio di idee; persone responsabili che sappiano diventare leader dei loro progetti. C’è ancora molto da fare a Gaia Terra, e molta creatività da portare”, conclude Debora con un pizzico di giustificato orgoglio.

 

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