Durò un anno. Alla fine si decise in loro favore: erano uomini, appartenevano alla famiglia umana, erano figli di Dio e come tali avevano il diritto di essere battezzati e di far parte del Regno e venire integrati alla Storia della Salvezza. Ne discutevano da cinquant’anni. Molte erano le prove in contrario, una fra tutte, descritta con minuzia di dettagli dai primi gesuiti che qui arrivarono trent’anni prima. Gli abitanti di queste lande, dediti all’ozio grazie alla generosità della loro terra, vivevano in peccato mortale per l’azione costante del demonio espulso dell’Europa grazie alla presenza rassicurante del Vicario di Cristo. Fuggito in malo modo, Satanasso arrivò nelle Americhe e si impossessò delle anime di questa gente pura, rendendole schiave di ogni iniquità. La loro vita si trasformò in una continua adorazione del Male favorita dal clima torrido, umido, sensuale, lascivo. Nella loro nudità innocente, come venne descritta da Colombo, pochi anni dopo i gesuiti videro il simbolo di una lussuria senza freni. La loro lingua con la quale si comunicavano era talmente corrotta da non possedere nemmeno le tre lettere fondamentali: la lettera F (effe) a simbolizzare l’assenza di Fede nel Dio vero; essendo la loro vita priva di ogni Legge morale, mancava la lettera L (elle); ed infine la lettera R (erre) per la completa assenza dell’autorità di un Re che determinasse la Legge e facesse rispettare la Fede. Fede, Legge, Re, i requisiti per essere dichiarati esseri umani. Il dibattito ufficiale nella città di Valladolid, in Spagna, durò un anno, era il 1551 quando prevalse la tesi di Bartolomé de Las Casas: gli abitanti delle Americhe, dal Messico alla Patagonia, non erano bestie, né figli del demonio. Gli abitanti delle Americhe erano come noi. Nonostante i sacrifici umani degli Aztechi, nonostante andassero nudi e si mangiassero tra loro come i brasilici, nonostante non avessero Fede, Legge e Re, erano umani e la vera fede gliela insegneremo noi, li vestiremo come noi, li salveremo noi.
Le antiche potenze coloniali e l’opinione pubblica dei paesi in cui tanto tempo fa si decise che anche noi eravamo degni della Salvezza, ormai sanno chi è Bolsonaro, hanno capito le sue intenzioni. Si sono riuniti in fretta e furia e hanno quasi deciso che un terzo del territorio brasiliano non dovrebbe far più parte del nostro paese ma appartenere a un consorzio internazionale che ne avrebbe cura, perché noi, vista la dimensione del disastro, abbiamo dato prova di non esserne capaci. Ci offrite pure un sacco di milioni per spegnere gli incendi che devastano quel territorio a cui tenete tanto. Vi siete riuniti nel G7 senza di noi, senza nemmeno consultarci, chiedere la nostra opinione. Come secoli fa a Valladolid, avete deciso le nostre sorti. Se allora erano i filosofi e i teologi a dibattere per mesi la questione, stavolta sono gli uomini politici a parlare sulle nostre teste in un vergognoso tà-tà e bonasera di un paio di giorni. Si è parlato di polmoni verdi, di preservazione, di animali, biodiversità, magari si è parlato anche di quegli stessi uomini che continuano ad andare nudi come nel 1500 e rifiutano la F, la L, e la R; si è parlato di tutto, meno della cosa più importante. Nessuno ha denunciato le ragioni, i motivi, o meglio, l’unica ragione, l’unico motivo per cui tutto questo sta accadendo: il latifondo. Nessuno di voi ha parlato di riforma agraria e di politiche industriali che ci lascerebbero meno dipendenti dalle esportazioni di commodities, soja e bestiame. Ecco la causa degli incendi in Amazzonia: la dipendenza economica dalle esportazioni e il conseguente latifondo. Ma a voi non interessa che la nostra politica industriale diventi competitiva, avreste un concorrente grosso come un continente che si negherebbe a produrre il vostro plus valore, un paese tropicale industrializzato che vi farebbe a pezzi. Continuate a fare il gioco sporco deciso nel 1551: siamo uomini a cui dovete insegnare come si fa a stare al mondo e la prima cosa da fare, quindi, è mettere l’Amazzonia sotto uno statuto internazionale come unica forma di preservarla, toglierci ogni potere decisionale, tutelarci e darci un calcio in culo. Da secoli ci avete condannato e rilegato alla periferia del vostro capitalismo predatore, obbligandoci a esportare materie prime frutto del latifondo che oggi chiamate “agrobusiness” con il quale le nostre oligarchie e i vostri investitori guadagnano miliardi. Adesso ci dite pure che siamo incapaci di auto-governarci. La vostra ipocrisia è degna della vostra cupidigia: offrirci soldi per spegnere l’incendio per poi continuare a comprare prodotti in natura, coltivati sulle terre nate dal fuoco amazzonico, aiutando così le nostre oligarchie a fare quello che hanno sempre fatto. È arrivato il momento di scegliere davvero da che parte stare. Ad indignarsi per le parole di Bolsonaro ci pensiamo noi. Grazie e arrivederci.