Stiamo assistendo alla crisi più pazza del mondo. E diciamo pazza per non dire demenziale, ma il concetto va in quella direzione. Siamo nelle mani di alti funzionari dello stato che si pongono o si devono improvvisare educatori di una scolaresca un po’ ignorante e piuttosto maleducata.
Al Senato, durante le comunicazioni del Presidente del Consiglio uscente, abbiamo osservato la sceneggiata del buon professor Conte che ha ringraziato tutti, ha riaffermato tutte le politiche realizzate e quelle non realizzate dal governo del cambiamento e ha redarguito con dettagli il comportamento del bricconcello della classe, Matteo Salvini. Quest’ultimo non ha potuto evitare di entrare nel suo ruolo preferito di quello che non sta dietro alle forme istituzionali e, alla fine, ha fatto proprio la figura del bricconcello della classe. Ha fatto espressioni clownesche sulle argomentazioni di Conte, ha mandato occhiatine e messaggi non verbali ai suoi che sedevano nei palchi di fronte a lui, ha ricevuto e passato bigliettini con i sui ministri seduti dietro di lui, ha fatto ritirare la mozione di sfiducia, nel miglior stile di quello che tira la pacca nella nuca e poi fa girare il dito indice con lo sguardo innocente. Insomma, iperattivo certificato come sempre. In confronto Luigi Di Maio sembrava un animale impagliato. Il M5S era nel suo ambiente: loro si sono sempre presentati come i buoni scolari, i primini della classe ma, nel sottofondo, si è respirato un bel terremoto da cui non sappiamo come ne verremo fuori. Dai banchi dell’opposizione l’intervento dell’umilissimo altro Matteo è stato quasi commovente, se non fosse stato falso fin nelle virgole. Senza dubbio non gli ha difettato la consecutio temporum, ma al suo sacrificio per gli Italiani non ci crede più nessuno, proprio in virtù del suo recente viaggio politico dalle stelle alle stalle, come lui stesso ha ricordato nel suo intervento, insinuando al probabile prossimo futuro di Salvini.
Quindi tutto è passato nelle mani dell’altro educatore, questa volta per forza e non per gusto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel suo mandato ha già avuto un be daffare per far tenere a posto le mani a questo gruppo di “innovatori” nelle forme, più che nella sostanza.
Di fatto, al primo giro di consultazioni dal Presidente, dopo le dichiarazioni fatte alla stampa, tutti i Partiti hanno recitato la loro poesia, qualcuno ha declamato punti irrinunciabili, altri hanno cercato di rigirare filastrocche per non fare brutta figura coi propri elettori, insomma tocca leggere fra le righe, come sempre. La verbosa politica all’italiana, anche se ha perso i congiuntivi e ha acquisito vocaboli più volgari, dice e non dice, lascia intendere più che chiarire, ammicca o minaccia lasciando aperte tutte le opzioni su cui la stampa ufficiale e non, avida, si lancia a produrre più disinformazione possibile.
Se non fosse tragico, sarebbe comico, degno della commedia dell’arte e di quella degli equivoci. Degno della Prima Repubblica, altro che cambiamento, altro che svolta, altro che discontinuità.
Ancora una volta messo in primo piano, il Presidente Mattarella ha fatto sapere che vuole fare velocemente il passaggio di testimone. E di fatto il buon educatore suo malgrado, uscendo dalle consultazioni, stavolta ha chiesto una soluzione chiara, ha dato un tempo minimo preciso fino a martedì e non pare disposto a pazientare come un anno fa. Insomma, “state buoni, se potete”. Altrimenti si va al voto. Ma il popolo italiano, sempre per rimanere nella metafora scolastica, non può che dire “io, speriamo che me la cavo!”.