Nei sobborghi che circondano la capitale Dakar, in Senegal, dove la disoccupazione e il disagio sociale spingono tanti giovani a partire, una donna da qualche anno lavora per creare le condizioni affinché il benessere delle comunità migliori.
Si tratta di Yayi Bayam Diouf, fondatrice e presidente del Collettivo delle donne per la lotta all’emigrazione clandestina (Coflec). La ‘Dire’ l’ha intervistata a margine della presentazione di ‘Ponti’, un progetto per prevenire le migrazioni ideato da Arcs-Culture solidali, e realizzato in Senegal ed Etiopia da oltre 20 ong italiane e non, di cui anche Coflec ha fatto parte in partenariato con un’altra ong italiana, il Cipsi.
Racconta Diouf: “Ci occupiamo di sensibilizzare sui pericoli delle migrazioni irregolari, ma cerchiamo anche di creare opportunità di impiego per i giovani e le donne, tra i principali candidati alle migrazioni. Vogliamo che credano di più nelle proprie potenzialità e in quelle del nostro Paese, per vivere dignitosamente”.
Yayi Bayam Diouf è originaria di Thiaroye su Mer, un “ex villaggio di pescatori” nell’hinterland di Dakar. Qui, come in molte altre zone del Senegal, la pesca industriale dei pescherecci stranieri ha messo in ginocchio quella tradizionale, creando povertà e limitando le prospettive per il futuro. In tanti da qui emigrano, come l’unico figlio di Diouf: “Qualche anno fa mio figlio è annegato in mare, dopo che insieme a degli amici ha tentato di raggiungere l’Europa a bordo di una piroga, per trovare lavoro e dignità”. Da qui la decisione di fondare Coflec: “Mi è scattato qualcosa dentro e ho trovato le energie per parlare con le comunità tradizionali e patriarcali, per convincerle che la donna può portare un cambiamento ed essere una risposta al problema dell’emigrazione irregolare”.
Se una donna lavora, dice l’attivista, può mandare i figli a scuola, garantendo loro un’istruzione di qualità e quindi alternative alle migrazioni irregolari.
“Non è facile far passare messaggi di questo tipo – prosegue Yayi Bayam Diouf -. La mentalità patriarcale è radicata profondamente in molte comunità. Ma grazie al progetto ‘Ponti’ abbiamo messo in campo un piano che ci ha permesso di rafforzare le nostre capacità comunicative”. In una società in cui la donna è relegata alla cura della casa e dei figli, è fondamentale “trovare il linguaggio per convincere gli uomini, ma anche le autorità locali”.
Gli stessi strumenti comunicativi, la presidente di Coflec e le sue colleghe li hanno impiegati anche “negli incontri di sensibilizzazione organizzati coi giovani, per informarli sui rischi delle partenze irregolari, o con gli studenti nelle scuole”.
Raggiunti così almeno 1500 giovani, che “hanno deciso di restare”. Ma i successi di Coflec non finiscono qui, sottolinea la fondatrice: “Siamo riuscite a sensibilizzare persino i trafficanti. Siamo andate a casa loro, ci abbiamo parlato. Sono giovani come tanti. Alcuni comprendono, e cambiano idea: ora alcuni fanno parte dell’associazione e si occupano di sensibilizzazione”. Altri invece, sottolinea Yayi Bayam Diouf, “continuano a trafficare esseri umani, e allora cerchiamo di denunciarli alla polizia”.
Coflec, oltre a promuovere opportunità di formazione e avvio al lavoro nell’area di Thiaroye su Mer, sta gestendo anche un fondo di credito rotativo per sostenere la strutturazione di microimprese in settori sostenibili.