Questa è la Libia. questo è il porto sicuro che Salvini promuove ogni volta che una nave di migranti chiede un approdo nel Mediterraneo. La bomba che ha fatto oltre quaranta morti a Tajura è solo l’ultimo e più eclatante caso di una guerra che non è scoppiata ora, ma si combatte da diversi anni. E, oggi come qualche anno fa, i migranti sono la variabile di questa guerra, una moltitudine di ostaggi, una sorta di arma usata sia dalle milizie di Sarraj sia da quelle di Haftar.
La teoria del “porto sicuro” non è una creazione del leader leghista. Fu inventata da Minniti quando l’Europa fermò la rotta balcanica facendo un accordo con la Turchia: sei miliardi a Erdogan in cambio del blocco dei migranti. L’Italia di Gentiloni aveva bisogno di “una Turchia” alla propria frontiera sud. La trovò nella Libia, sebbene fosse già in guerra, infestata da trafficanti e milizie e piena di armi degli arsenali di Gheddafi. Puntò su un uomo, Sarraj, e lo fece diventare “presidente”. Non era la “Turchia” ma poteva funzionare.
Salvini ha ripreso “paro paro” quell’impostazione: denaro alle milizie, armi e motovedette alla guardia costiera. Con in più il blocco dei porti alle navi delle ong. E i migranti? E i centri di detenzione? E la strage di Tajura? Chissenefrega.