Firmare una petizione in favore della pace è un atto del tutto legittimo che rientra nella libertà d’espressione. Sembrerebbe ovvio, ma la Corte Costituzionale turca in questi giorni ha dovuto ribadirlo.
La vicenda è quella della petizione lanciata l’11 gennaio 2016 e sottoscritta da 2.212 accademici in favore di negoziati di pace tra il governo e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).
Da allora oltre 700 firmatari sono stati incriminati per “propaganda in favore di un’organizzazione terrorista” e molti di loro hanno ricevuto in primo grado condanne fino a tre anni di carcere.
Centinaia di altri firmatari sono stati licenziati, o costretti a dare le dimissioni, dalle università pubbliche e private e 406 sono stati interdetti per sempre dal pubblico impiego.
Ci si aspetta che la sentenza emessa il 26 luglio dalla Corte Costituzionale ponga fine alla farsesca persecuzione, giudiziaria e amministrativa, nei confronti dei firmatari della petizione e porti all’annullamento di tutti i provvedimenti emessi nei loro confronti, comprese le condanne al carcere.
Nella foto la professoressa Zübeyde Füsun Üstel, una delle promotrici del ricorso alla Corte Costituzionale. Il 22 luglio la sua condanna a un anno e mezzo di carcere è stata sospesa in attesa dell’esame dell’appello.