Il destino del secondo più alto leader spirituale dei Tibetani, il Panchen Lama, è stato discusso ieri 2 luglio 2019 durante l’attuale sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Al Side Event dell’Associazione per i popoli minacciati (APM) è stato ricordato il rapimento di Gedhun Choekyi Nyima, che all’epoca dei fatti aveva sei anni. Nel 1995 fu riconosciuto dall’attuale Dalai Lama come undicesimo Panchen Lama e, in seguito, fu rapito insieme alla sua famiglia dalle autorità cinesi. Il destino dell’ormai trentenne è tuttora sconosciuto. Il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni involontarie o forzate ha ripetutamente affrontato il caso e ha invitato la Cina a rendere pubblico il luogo in cui si trova il Panchen Lama.
Poco dopo il suo rapimento, Pechino ha designato un proprio Panchen Lama, fedele al partito, che però non è riconosciuto dai Tibetani. Il Panchen Lama ha un ruolo importante nella scelta del prossimo Dalai Lama. Mantenendo segreto il destino del Panchen Lama, Pechino spera, alla morte dell’attuale Dalai lama, di poter influire sulla scelta del prossimo leader spirituale tibetano.
Il gruppo “Religious Repression: Faith Under State Control in Tibet Autonomous Region” si occupa anche dei molti altri tentativi messi in atto dal governo cinese di controllare e gestire l’esercizio della religione e le figure religiose in Tibet. La repressione religiosa non è una novità in Cina ma sta costantemente crescendo. Milioni di Tibetani subiscono da decenni il controllo statale sull’esercizio della loro religione, ma lo stesso vale anche per i Cristiani e per i seguaci del movimento Falun Gong. Attualmente chi maggiormente subisce il controllo di Pechino sono però i credenti musulmani nella regione dello Xinjiang. Almeno 1,5 milioni di musulmani dello Xinjiang sono internati in campi di lavoro forzato e l’intera regione viene monitorata tramite un controllo digitale senza precedenti. L’intero apparato di sorveglianza e repressione può essere ascritto a Chen Quanguo, l’attuale segretario del Partito Comunista Cinese nello Xinjiang che ha potuto perfezionare il suo sistema proprio in Tibet.
Durante la seduta del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, l’APM ha criticato il fatto che proprio all’inizio della seduta è stata data la parola al vice-governatore dello Xinjiang. “Non può essere”, ha detto il referente dell’APM, “che una persona che è direttamente coinvolta negli arresti di massa arbitrari di Uiguri, Kazachi e Kirghisi abbia la possibilità di esporre la sua versione per 25 minuti davanti al Consiglio dei Diritti Umani mentre le organizzazioni per i diritti umani fanno sempre più fatica a trovare spazi e a farsi sentire dalle Nazioni Unite.”