Il tasso di estinzione delle specie accelera, il declino della Natura non è mai stato così marcato e veloce: lo afferma il rapporto dell’IPBES (Gruppo Internazionale sulla Biodiversità e gli Ecosistemi), che vi riportiamo.
La natura sta declinando globalmente a tassi senza precedenti nella storia umana e il tasso di estinzione delle specie sta accelerando, con gravi conseguenze sulle popolazioni umane nel mondo. Mette in guardia l’ultima relazione dell’IPBES approvata a Parigi.
“L’evidenza travolgente della valutazione globale dell’IPBES, ricavata da una grande varietà di differenti campi della conoscenza, ci presenta un quadro infausto” ha detto il presidente dell’IPBES, Sir Robert Watson. “La salute degli ecosistemi da cui noi e tutte le altre specie dipendiamo si sta deteriorando più rapidamente che mai. Stiamo erodendo le fondamenta stesse della nostra economia, dei nostri mezzi di sussistenza, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita in tutto il mondo. La relazione ci dice anche che non è troppo tardi per rimediare ma solo se cominciamo subito a tutti i livelli, dal locale al globale. Attraverso un cambiamento radicale la natura può ancora essere conservata, recuperata e utilizzata sostenibilmente. Questa è anche la chiave per raggiungere molti altri obiettivi globali. Con un cambio radicale noi vogliamo dire un cambiamento dalle fondamente di tutto il sistema attraverso trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche, inclusi obiettivi, paradigmi e valori. Gli stati membri del’IPBES riconoscono che una trasformazione radicale può incontrare l’opposizione di coloro i cui interessi richiedono che si mantenga lo statu quo, ma anche che tale opposizione deve essere vinta per il generale bene comune”.
Il Rapporto Globale dell’IPBES sulla Biodiversità e i Servizi dell’Ecosistema è il più approfondito e completo mai realizzato. Vi hanno lavorato 145 esperti di 50 paesi per tre anni, con collaborazioni da parte di altri 310 autori. Il rapporto valuta i cambiamenti degli ultimi 50 anni, presentando un quadro comprensivo delle relazioni tra le modalità di sviluppo economico e il loro impatto sulla natura, e offre una gamma di possibili scenari per i decenni a venire. Basato sulle revisioni sistematiche di circa 15.000 fonti scientifiche e governative, il rapporto disegna anche (per la prima volta a questo livello) il quadro delle conoscenze indigene e locali, mettendo particolarmente in risalto i problemi delle popolazioni indigene e delle comunità locali.
“La biodiversità e le risorse naturali per le popolazioni sono la nostra eredità comune e la più importante “rete di protezione” che sostiene la vita. Ma questa “rete di protezione è arrivata al punto di rottura” ha detto la Prof. Sandra Diaz (Argentina). “La diversità all’interno delle specie, tra le specie, e degli ecosistemi, così come le risorse fondamentali che noi otteniamo dalla natura, stanno declinando velocemente, benché ci siano ancora le possibilità di assicurare un futuro sostenibile all’umanità e al pianeta”.
Il Rapporto mostra che circa 1 milione di specie di piante e animali sono ora a rischio di estinzione, molti entro una decina di anni, una quantità maggiore di quanto non sia mai successo nella storia del genere umano. La quantità media di specie nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita almeno del 20%; per la maggior parte delle specie l’estinzione è avvenuta dal 1900 in poi. Più del 40% delle specie anfibie, non meno del 33% delle barriere coralline e più di un terzo di tutti i mammiferi marini sono minacciati (dall’estinzione). Il quadro è meno chiaro per quel che riguarda gli insetti, ma risulta evidente che almeno il 10% delle specie di insetti rischia l’estinzione. Più di 680 specie di vertebrati si sono estinti dal 1600 ad oggi e più del 9% delle razze di mammiferi domestici allevati e usati in agricoltura si sono estinti entro il 2016, con almeno altre 1000 razze a rischio estinzione.
“Gli ecosistemi, le specie, le varietà locali di piante e animali domestici stanno diminuendo o scomparendo. La rete connessa e completa della vita sulla terra sta diventando più piccola e fragile” ha detto il Prof. Settele (Germania). “Questa perdita è il risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia immediata al benessere umano in tutto il mondo”.
Il Rapporto rileva che dal 1980 le emissioni di gas serra sono raddoppiate, facendo salire la temperatura globale di almeno 0,7 gradi Celsius, con un impatto del cambiamento climatico che va dal livello degli ecosistemi fino a quello genetico; questo impatto è destinato a crescere nei prossimi decenni, superando in molti casi l’impatto dei cambiamenti nell’utilizzo della terra e del mare.
Gli obiettivi globali di conservazione della natura e di uso sostenibile della stessa, secondo il Rapporto, non possono essere realizzati con l’attuale andazzo, e gli obiettivi per il 2030 e oltre possono essere raggiunti solo con cambiamenti trasformativi dei fattori economici, sociali, politici e tecnologici. Le attuali tendenze negative per la biodiversità e gli ecosistemi mineranno gli obiettivi di sviluppo sostenibile riguardanti la povertà, la fame, la salute, l’acqua, le città, il clima, gli oceani e i terreni. La perdita di biodiversità non è solo un problema ambientale ma anche economico, sociale, morale.
“Per capire meglio e individuare le cause principali dei danni alla biodiversità e quanto le risorse naturali siano importanti per la popolazione umana, dobbiamo capire la storia e le connessioni globali di complesse tendenze di cambiamento economico e demografico, così come i valori sociali che le sostengono” ha detto il Prof. Brondizio (USA). “Esaminare l’incremento della popolazione e quello dei consumi, le innovazioni tecnologiche che in alcuni casi hanno alleggerito i danni alla natura ma in altri casi li hanno incrementati; i problemi di governo e di responsabilità. Una cosa che emerge dal rapporto è la connesione globale tra l’estrazione e la produzione di risorse in una parte del mondo per soddisfare le necessità di consumatori che vivono in un’altra parte del globo”.
Le questioni rilevanti del rapporto dell’IPBES si possono così sintetizzare:
– Tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati alterati in modo significativo dalle azioni umane. In genere questi cambiamenti sono stati minori o inesistenti nelle aree abitate e gestite dai popoli indigeni e dalle comunità locali.
– Più di un terzo della superficie terrestre e il 75% delle acque dolci sono ora utilizzate per l’agricoltura e l’allevamento.
– La quantità dei prodotti agricoli è cresciuta del 300% dal 1970, la produzione di legname è cresciuta del 45% e circa 60 miliardi di tonnellate di risorse minerali rinnovabili e non rinnovabili sono estratte globalmente ogni anno, quantità raddoppiata dal 1980.
– Il degrado dei suoli ha reso sterile il 23% della superficie terrestre, più di 577 miliardi di dollari di raccolti sono a rischio per la scomparsa di insetti impollinatori e da 100 a 300 milioni di persone sono a rischio sempre maggiore di alluvioni e uragani, in conseguenza della perdita degli habitat costieri e della loro protezione.
– Nel 2015 il 33% delle specie di pesci erano pescati a livelli insostenibili; il 60% al massimo livello di sostenibilità, con solo il 7% pescato a un livello sostenibile.
– Le aree urbane sono più che raddoppiate dal 1992.
– L’inquinamento da plastica è decuplicato dal 1980; 300-400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e altri rifiuti industriali sono scaricati annualmente nelle acque del mondo, e i fertilizzanti chimici che arrivano negli ecosistemi costieri hanno prodotto più di 400 “zone morte” negli oceani: in totale più di 245.000 chilometri quadrati, un’area maggiore di quella della Gran Bretagna.
Le ricadute negative per la natura continueranno fino al 2050 e oltre in tutti gli scenari politici esaminati dal rapporto, eccetto quelli che prevedono un cambiamento “trasformativo” in tutti i settori: agricoltura, foreste, oceani, acque dolci, aree urbane, energia, finanza ecc. E’ importante adottare un approccio globale e interdisciplinare che tenga conto delle connessioni tra cibo, produzione di energia, infrastrutture, acque interne, ambiente costiero e conservazione della biodiversità.
Un elemento chiave di future politiche di sostenibilità è un’evoluzione del sistema economico e finanziario che si lasci alle spalle l’attuale, limitato paradigma della crescita economica.