I giornalisti investigativi dei Balcani occidentali hanno espresso il proprio malcontento nei confronti del sistema giudiziario nei rispettivi paesi nella conferenza regionale: “Follow the money, find the crime”, organizzata a Pristina lo scorso 7 giugno dall’Istituto per lo sviluppo economico del Kosovo. Le loro esperienze con giudici e pubblici ministeri – hanno denunciato i giornalisti – sono troppo spesso spiacevoli.
I reporter che trattano di crimini finanziari e criminalità organizzata sono oggi nel mirino non solo della malavita, ma anche delle istituzioni statali, in particolare nei paesi in cui lo stato di diritto è debole. Nei Balcani, è la denuncia emersa con forza dal convegno, i giornalisti sono lasciati soli nella loro lotta per la libertà dei media e spesso la magistratura, invece di collaborare con loro, ne ostacola il lavoro.
La prigione è il prezzo che un giornalista deve pagare per essere indipendente. Il drammatico caso di Jovo Martinović, giornalista veterano freelance del Montenegro, mostra come la politica possa interferire nel sistema giudiziario per forzare i giornalisti al silenzio. Martinović è noto per la sua ampia copertura della criminalità organizzata in Europa e dei crimini di guerra nei Balcani.
Il suo lavoro per media mainstream internazionali come NPR, BBC, CBS, Canal Plus, Financial Times, Global Post, e così via lo ha reso un bersaglio delle autorità del suo paese. Nell’ottobre 2015 è stato arrestato con l’accusa di traffico di droga e partecipazione ad un’organizzazione criminale, e trattenuto per 14 mesi nonostante la mancanza di prove.
Il caso era collegato ad un’inchiesta che Martinović stava portando avanti. Nel gennaio 2019, l’Alta Corte montenegrina lo ha condannato a 18 mesi di detenzione. Il verdetto ha ricevuto diffuse condanne da parte dei media internazionali e regionali e delle organizzazioni per i diritti umani. Il Rappresentante OSCE per la libertà dei media ha espresso la speranza che la decisione venga annullata in un processo di appello e che Martinović possa continuare il proprio lavoro giornalistico. “Questo è il prezzo che si deve pagare per mantenere la propria indipendenza”, ha dichiarato Martinović.
Parlando di fronte ad altri giornalisti alla conferenza, Martinović ha espresso preoccupazione per il deterioramento della libertà dei media nei Balcani. “Non si tratta solo del mio caso, in generale le persone hanno problemi, trovano ostacoli, sono minacciate, altre sono maltrattate o aggredite fisicamente, quindi il clima sta peggiorando rispetto a dieci anni fa, quando eravamo ancora fiduciosi che la regione avrebbe abbracciato i valori dell’UE, cosa che non è accaduta”.
È più facile per i giornalisti occidentali scrivere di crimini in aree problematiche. I politici sono più nervosi quando arrivano i giornalisti occidentali nei loro paesi; si preoccupano di più se la BBC o il Financial Times scrivono delle loro malefatte, dice Jovo Martinović, il cui lavoro è pubblicato soprattutto nei media mainstream anglo-americani. “Ho rifiutato di addolcire i fatti, ho rifiutato di negare l’esistenza del crimine organizzato e altre malefatte, e questo fa infuriare certe persone, specialmente quando si tratta della loro immagine in Occidente, e nel mio caso ho vissuto una pessima esperienza e ho subito la prigione per il mio lavoro”, dice Martinović.
Questo è stato confermato dal corrispondente di guerra inglese Anthony Loyd, che ha trascorso gran parte della sua carriera in zone di guerra. Parlando ad un ampio pubblico al “Pristina ai Brit-Talks”, ha ammesso di sentirsi fortunato ad essere un giornalista occidentale nelle zone di guerra, rispetto ai colleghi locali. I rischi ci sono anche per il giornalista occidentale, naturalmente: durante la guerra in Siria, Loyd è stato colpito alla gamba da una persona che aveva intervistato. A suo avviso “la più grande minaccia per i giornalisti oggi è ‘interna’ al mondo del giornalismo, con l’emergere delle ‘fake news’ e una generale sfiducia nei confronti del giornalismo, che ha contagiato gli stessi giornalisti”.
I giornalisti “testardi” nei Balcani occidentali sono stati spesso bersagli di discorsi d’odio online e altre forme di propaganda. Milka Tadić-Mijović, un’altra giornalista veterana del Montenegro, ha raccontato ampiamente gli abusi statali e la corruzione ad alto livello nel suo paese natale. Otto anni fa, lei e i suoi colleghi finirono nel mirino del quotidiano montenegrino Pobjeda, a capo di una campagna di diffamazione contro di loro con insulti pubblicati in oltre cento articoli. Ed è proprio durante la conferenza a Pristina che la Tadić-Mijović ha saputo di aver vinto la causa in tribunale contro Pobjeda. Sul suo viso si vedeva riflessa una profonda soddisfazione, anche se il caso ha richiesto quasi un decennio per arrivare al verdetto finale.
Anche in Kosovo i giornalisti sono spesso bersaglio di diversi gruppi di interesse: persino dei parlamentari hanno abusato del proprio diritto di parlare in parlamento etichettando alcuni giornalisti come “spie serbe” e “collaboratori”. Tra chi ha subito tali attacchi c’erano i promotori della piattaforma investigativa Insajderi.
L’integrità dei giornalisti è in pericolo
Una delle maggiori preoccupazioni dei giornalisti nei Balcani occidentali è l’impunità per le aggressioni contro i giornalisti. Ad esempio negli ultimi due anni, Freed Media Help Line ha registrato 118 casi di violata sicurezza, 13 esplicite minacce di morte e dozzine di forme di violazione della libertà di espressione in Bosnia Erzegovina. Nessuno degli autori di tali reati è stato sanzionato o perseguito in modo adeguato. In Serbia, nel 2018 ci sono stati 22 casi di minacce e attacchi contro giornalisti.
Nella Macedonia del Nord la sicurezza dei giornalisti è lentamente migliorata. Secondo l’Associazione nazionale dei giornalisti, il numero di attacchi a giornalisti è diminuito rispetto all’anno precedente, da 18 a 6, ma solo due su 59 casi segnalati alla polizia sono stati risolti. In Kosovo, nel 2018, il numero di casi segnalati all’Associazione dei giornalisti è sceso da 25 a 10. Nonostante tutti fossero stati denunciati alla polizia, solo pochi casi sono arrivati in tribunale.
Lo scorso 25 febbraio António Guterres, segretario generale delle Nazioni unite, ha sottolineato come “i media sono diventati significativamente meno liberi negli ultimi anni, con minacce senza precedenti a giornalisti e media e tentativi di controllare i media”. Nel 2018 le Nazioni unite e le organizzazioni per la libertà di stampa hanno riferito che oltre 99 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi, oltre 300 incarcerati e 60 tenuti in ostaggio.