In Argentina il pluralismo dell’informazione risulta essere sempre più una chimera, almeno da fine 2015, quando il presidente Mauricio Macri si è insediato alla Casa Rosada. Negli ultimi anni sono oltre 3.000 i posti di lavoro andati in fumo nel settore del giornalismo e della comunicazione, mentre la situazione dei media comunitari appare a forte rischio, soprattutto a seguito dei tagli imposti dal governo.
Tra gli aspetti più inquietanti del vero e proprio attacco sferrato dalla presidenza Macri alla libera informazione vi è la denuncia contro i comunicadores populares che, insieme ai dirigenti delle organizzazioni sociali, il 17 dicembre scorso avevano partecipato ad una pacifica manifestazione di protesta sotto la sede dell’Ente Nacional de Comunicaciones (Enacom) a Buenos Aires per chiedere la tutela delle emittenti televisive comunitarie. Tra coloro che dovranno vedersela con la magistratura Pablo Antonini, presidente del Foro Argentino de Radios Comunitarias, Omar Zanarini, di Radio Gráfica, Natalia Vinelli, di Barricada Tv, Tomás Eliaschev, dirigente del Sipreba (Sindicato de Prensa de Buenos Aires) e Juan Grabois, del Movimiento de Trabajadores Excluidos.
Secondo i manifestanti le tv comunitarie avrebbero dovuto essere inserite nella griglia delle emittenti che trasmettono via cavo, a partire da Barricada y Urbana Tv, ma Cablevisión, principale operatore del settore appartenente al potente Grupo Clarín, rifiuta di farlo. Finora Enacom non è intervenuta e, proprio per questo motivo, il 17 dicembre 2018 era stata promossa una protesta sotto i suoi uffici. Ovviamente, la passività di Enacom è stata benedetta dal Grupo Clarín, di orientamento ultraconservatore e noto, all’epoca del regime militare, per la sua dichiarata simpatia verso la dittatura. Il suo matrimonio con Cablevisión Holding ha permesso ad entrambi di diventare i padroni dell’informazione televisiva e di tutte le notizie che passano attraverso internet e i cellulari. Va inoltre sottolineato che Enacom è un organismo creato attraverso uno dei tanti decreti d’urgenza tramite i quali ha governato il presidente Macri ed opera spesso al limite della legalità costituzionale, obbedendo fedelmente agli ordini provenienti dalla Casa Rosada.
Attualmente l’unico tipo di informazione riconosciuta e tollerata è quella commerciale e le politiche pubbliche per una vera e propria democratizzazione della comunicazione si sono arenate, soprattutto per il rifiuto del governo di riconoscerla come un bene sociale indispensabile per il dibattito pubblico e per la democrazia.
Tuttavia le brutte notizie a proposito del pluralismo dell’informazione non sono finite qui. Nel documento Periodistas, trabajadores de prensa y gráficos desaparecidos: una lista en construcción, curato dal Registro Unificado de Víctimas del Terrorismo de Estado de la Secretaría de Derechos Humanos y Pluralismo Cultural, è emerso che il numero degli operatori dell’informazione fatti sparire all’epoca del regime militare è salito a 223 persone, 228 se consideriamo il caso dei cinque studenti di Comunicazione e giornalismo desaparecidos. I dati, diffusi da Tiempo Argentino, fanno capire che fare informazione in Argentina non è mai stato facile, allora come oggi, ma la tempistica con cui è stato reso pubblico il rapporto ha inevitabilmente un legame con la battaglia contro il pluralismo scatenata da Mauricio Macri.
Nel 1998 la lista dei giornalisti desaparecidos si aggirava intorno a 101 casi e vi lavorò Catalina Guagnini, dirigente dei Familiares de Desaprecidos y Detenidos por Razones Políticas e madre di Luis Guagnini, operatore dell’informazione sequestrato il 21 dicembre 1977. Fu proprio grazie ai Familiares de Desaprecidos y Detenidos por Razones Políticas che nacque la Comisión de Periodistas Desaparecidos. Da allora, il numero dei giornalisti sequestrati e uccisi dal regime militare è cresciuto, come hanno dimostrato le indagini condotte prima dall’Unión de Trabajadores de Prensa de Buenos Aires e poi dal Sindicato de Prensa de Buenos Aires per garantire il diritto alla verità e a quella libera informazione che Mauricio Macri intende seppellire.
David Lifodi