Non accade spesso, nell’Italia di questi tempi, che un progetto di solidarietà venga premiato. Oggi si è derisi, etichettati come “buonisti” solo perché si accolgono persone bisognose, si salvano naufraghi in mare. Eppure c’è un’Italia diversa. La storia che raccontiamo viene dal Trentino, dalle montagne. Precisamente dal Comune di Caderzone terme, in val Rendena, non lontano da Madonna di Campiglio. Raccontiamo un progetto finalizzato a dare accoglienza ad una famiglia siriana in fuga dalla guerra grazie ai cosiddetti “corridoi umanitari”che la Comunità di S. Egidio insieme a Tavola Valdese e Governo Italiano hanno avviato nel 2017. Mirava a fornire i servizi base per condurre una vita dignitosa e a cercare di integrare in una piccola comunità della Provincia di Trento (in linea con lo spirito dell’accoglienza diffusa sul territorio, come auspicato dalla linea adottata dal governo provinciale che ora ha cambiato “colore” politico, con il conseguente smantellamento di tale approccio) i 7 membri di una famiglia (2 coniugi con i loro 5 bambini da 0 a 8 anni) selezionata dalla Comunità di S. Egidio nei campi profughi del confinante Libano e affidata ad IPSIA del Trentino. Tutto questo grazie al presidente di IPSIA, Giuliano Rizzi.
Si è trattato di un progetto speciale: non c’era alcun supporto finanziario e per questo IPSIA del Trentino, una delle tante piccole realtà di solidarietà che costellano il territorio, ha pensato a una strada alternativa: traendo ispirazione dalla metodologia comunity-based del St. Martin in Kenya, si è deciso di fare il tentativo di affidare questa numerosa famiglia ad una piccola comunità nella speranza che tutti si coinvolgessero e con il loro tassello di disponibilità potessero costruire il mosaico dell’accoglienza.
Un privato (Bruno Masè) ha messo gratuitamente a disposizione a Caderzone la sua abitazione per ospitare la famiglia, alcuni volontari dell’associazione sono andati a prendere i profughi all’aeroporto e sono tornati tutti insieme in treno (a differenza dei più usuali pulmini o pullman utilizzati per progetti più grandi). Il viaggio è stato pagato dal circolo ACLI di Vezzano e San Giuseppe di Trento. Con il furgone della Parrocchia di San Pietro in Trento sono infine stati trasferiti nel piccolo paese della Val Rendena, che – a dispetto della timidezza/ostilità verificatesi nell’attesa (il progetto era stato condiviso con le istituzioni locali e presentato in un affollato e accorato dibattito alla cittadinanza un paio di mesi prima) – li ha accolti con generosità.<
La scommessa alla base del progetto era che diverse persone nel paese o nelle comunità limitrofe si sarebbero messe in gioco: e così è stato. Alcune si sono rese disponibili a seguire la famiglia in diversi momenti del giorno in modo gratuito, con delle visite quotidiane, altre per l’accompagnamento ai servizi, un’associazione locale (Trentino Solidale) ha fornito in parte il cibo in modo gratuito perché potessero cucinare (in modo autonomo), altre (Caritas decanale) i vestiti, altre (Vite Intrecciate) momenti di integrazione, altri si sono prodigati per l’inserimento dei bambini a scuola ai diversi livelli, per l’accompagnamento ai servizi.
Le ACLI provinciali hanno fornito un piccolo supporto nei primi mesi mettendo a disposizione part-time un ragazzo del servizio civile e un operatore (con esperienza nei campi profughi libanesi) che facesse da traduttore (la famiglia parlava essenzialmente solo arabo) e che progressivamente si ritirasse “costringendo” i membri a interagire in modo progressivo con le persone del posto. Ci si è attivati presso i competenti Servizi della PAT per ottenere il riconoscimento dello status giuridico di rifugiati, per l’ottenimento della tessera trasporti e della tessera sanitaria. Alcune persone generose hanno pagato loro le utenze, fatto avere loro vestiario e cibo, hanno regalato biciclette e una tv, hanno organizzato dei corsi di italiano. Ad un certo punto le persone che si sono mosse in modo spontaneo si sono organizzate in modo informale in un gruppo, denominato “Accoglienza e Solidarietà” e coordinato dall’assessore alle politiche sociali del Comune di Caderzone (Flavia Frigotto), al fine di essere più efficace nel raggiungimento dell’autonomia della famiglia ed evitare approcci assistenzialistici.<
La valenza simbolica del progetto era altissima: ospitare gratuitamente una famiglia di profughi in una terra (la val Rendena) piuttosto chiusa e più specificamente nel paese dove soggiorna da sempre durante le vacanze un importante esponente leghista.
Abbiamo chiesto all’assessora Frigotto se si sentiva preparata, umanamente e politicamente, a questo tipo di iniziativa. “Emotivamente ero preparata, l’empatia che si innesca verso l’accoglienza ad una famiglia proveniente da un campo profughi e che ha vissuto sulle proprie spalle la guerra (originari di Homs, in Siria) mi sembra dover essere naturale e scontata. Politicamente non ero affatto preparata, Caderzone non aveva mai affrontato prima il tema dei profughi; si trattava di un argomento che coinvolgeva il capoluogo e che quindi non ci riguardava. Inoltre, sebbene la lista che amministrasse il paese fosse dichiaratamente “civica”non è possibile evitare una certa apertura a destra anche grazie all’illustre ospite che da sempre ha influenzato i pensieri dei paesani”. E come è stata la reazione della gente? “Si trattava di sfidare apertamente un pensiero comune che, saputa la notizia, si è tradotto in parole, contrasti dichiarati e chiusura. Con pazienza mi sembra di aver vinto anche questa sfida. Piano piano qualcosa si è mosso”.
Infatti il progetto aveva anche un altro importante risvolto molto più concreto: risvegliare energie sopite della comunità trentina, rimettere in moto la solidarietà, l’umanità e ridare motivazione a gruppi/persone che avrebbero potuto a loro volta rilanciare altre iniziative, o almeno dare respiro a un tessuto sociale che sembra essere apatico e refrattario.
E proprio mentre il progetto stava andando per il meglio, un giorno, la famiglia siriana ha deciso di partire per la Germania. Un evento che ha sorpreso tutti e ha lasciato con l’amaro in bocca quanti si erano prodigati con tanta energia. Anche se difficile da digerire, questo ha significato aver portato a termine il proprio obiettivo che non era quello di rendere stanziale la famiglia quanto di accompagnarla: il susseguirsi di episodi politici che hanno fatto talora pensare alla chiusura del Brennero e ad una maggiore difficoltà nel potersi ricongiungere con la numerosa comunità siriana presente in Germania, ha accelerato significativamente in loro la paura di rimanere isolati da quelle sicurezze che la loro mentalità trova nel clan etnico.
Ma mentre il progetto nel concreto è così di colpo venuto a mancare, non è affatto svanito il gruppo di volontari che si è creato. E così qualche mese dopo, di fronte alla possibilità di ospitare nuovamente una famiglia, in questo caso di profughi afgani minacciati per questioni religiose, si è avuto un nuovo inizio dell’attività di accoglienza, una nuova sfida.
La Fondazione trentina per il volontariato sociale ha voluto premiare questo progetto assegnando a IPSIA del Trentino (e al suo presidente Giuliano Rizzi) e alla comunità di Caderzone Terme (rappresentata dall’assessora Flavia Frigotto) il Premio solidarietà 2018. Così, il 22 maggio scorso, nella splendida cornice di palazzo Bertelli, nel Comune di Caderzone Terme, Nicoletta Molinari, presidente della Fondazione Trentina per il volontariato sociale, ha consegnato una targa dal grande valore simbolico: l’accoglienza è ancora una virtù. Forse un dovere.