Le elezioni presidenziali del 16 giugno scorso in Guatemala hanno una duplice chiave di lettura. Da un lato, il ballottaggio del prossimo 11 agosto tra Sandra Torres e Alejandro Gianmattei rappresenta l’ennesimo successo del sistema che si perpetra al potere nel segno del Pacto de Corruptos. Dall’altro, la buona affermazione del Movimiento para la Liberación de los Pueblos (Mlp), che peraltro ha disconosciuto fin dall’inizio la regolarità del voto, rappresenta un buon punto di partenza per la fragile e frammentata sinistra guatemalteca.
Sandra Torres, con il 25% dei consensi, è avanti rispetto all’avversario Gianmattei, ma si tratta di due facce della stessa medaglia. Definita “socialista” o “socialdemocratica”, due termini che non le si addicono granché, come del resto sono poco adatti per identificare il suo partito, l’Unión Nacional de la Esperanza (Une), se non forse quando era alla guida del paese Álvaro Colom, suo ex marito, quella che allora interpretava il ruolo di primera dama oggi è solo la rappresentante di uno dei due blocchi di potere che si sfidano in una democrazia formale, ma legata all’oligarchia e al grande capitale. Solo per fare un esempio, come ha scritto Marcelo Colussi nel suo saggio Elecciones en Guatemala: quién ganó y quién perdió, la Une, come tutti i partiti di destra, ha sottoscritto la Declaración Vida y Familia, che insiste sull’ideologia di genere e sul matrimonio tradizionale e che non è stata accettata soltanto dai partiti di sinistra.
Anche questa volta lo Stato guatemalteco si è caratterizzato per le sue solite pratiche razziste e corrotte e in questo contesto, Thelma Cabrera, candidata indigena del Movimiento para la Liberación de los Pueblos, a base india e contadina, ha dovuto sopportare le accuse di irresponsabilità e di destabilizzazione dopo aver denunciato numerosi episodi che, secondo lei, avrebbero dovuto indurre il governo ad invalidare le elezioni. Indios malagradecidos è una delle espressioni più pesanti che si sono sentiti rivolgere gli esponenti del Mlp, mentre la missione degli osservatori dell’Osa sanciva la regolarità del primo turno elettorale e Thelma Cabrera veniva definita, in quanto indigena, come una donna che non è in grado nemmeno di saper contare. Nel corso della giornata dedicata al voto, il Movimiento para la Liberación de los Pueblos aveva denunciato diversi episodi poco chiari avvenuti intorno ai seggi e irregolarità di vario tipo, dalle schede con il voto già segnato (soprattutto con il simbolo dell’Unión Nacional de la Esperanza) a trasferimenti organizzati degli elettori affinché votassero i partiti tradizionali.
Inoltre, di fronte al programma proposto dal Movimiento para la Liberación de los Pueblos in campagna elettorale, dalla lotta senza quartiere alla corruzione (con richiesta di annullamento dell’immunità e del segreto bancario per gli alti funzionari pubblici) fino alla convocazione di una Assemblea costituente plurinazionale, il Tribunale Supremo Elettorale, legato all’oligarchia,ha fatto di tutto per mettere i bastoni tra le ruote al partito di Thelma Cabrera. In molte comunità e municipi dove il Mlp aveva costituito delle sezioni, il partito non ha ottenuto nemmeno un voto, a scapito dei partiti tradizionali che avrebbero organizzato delle vere e proprie compravendite di voti, come emerge da alcuni video divenuti virali sui social network.
Sul quotidiano uruguayano Brecha Cèsar Montes, uno dei comandanti delle Fuerzas Armadas Rebeldes (Far) all’epoca della lotta guerrigliera, ha rilasciato un’intervista a margine del primo turno elettorale in cui analizza l’estrema frammentazione della sinistra guatemalteca. Oltre al Movimiento para la Liberación de los Pueblos era candidato, tra gli altri, anche Pablo Ceto (contadino maya ixil) per la Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca (Urng-Maiz), nata nel 1982 ed erede della storica guerriglia delle Far degli anni Sessanta. “Tra i popoli indigeni il potenziale rivoluzionario è enorme”, argomenta Montes citando Luis Turcios Lima (un altro comandante delle Far), ma la divisione delle forze di sinistra, spiega l’ex guerrigliero, rappresenta un vero e proprio suicidio politico in un paese che in molti definiscono uno “Stato fallito” e dove l’impunità e la corruzione la fanno da padrone. Almeno 8 milioni di abitanti si trovano in una situazione di estrema povertà e malnutrizione, argomenta Montes, per non parlare degli alti tassi di analfabetismo e della discriminazione di cui continuano a soffrire le comunità indigene.
L’11 agosto, chiunque sia il presidente tra Sandra Torres e Alejandro Gianmattei, a vincere sarà ancora una volta la parte del paese che si riconosce nelle oligarchie, nelle mafie e in quel Pacto de Corruptos ancora duro a morire.
David Lifodi