In occasione della Festa del 2 giugno di quest’anno ha tenuto banco l’assenza polemica di 3 ex generali (Arpino, Tricarico e Camporini) alla parata di Stato. Polemica contro il ministro della Difesa Trenta per i tagli alle pensioni degli ex militari e perché, secondo i 3 ex generali, Trenta non sarebbe abbastanza vicina alle istanze militariste. Ci sarebbe molto da discutere su questi punti, su come sia stata considerata una sorta di “colpa” il non essere una fervente sostenitrice dell’aumento crescente delle spese militari – tanto per dirne una – di un ministro che ha giurato sulla Costituzione dell’articolo 11 che ripudia la guerra. Ma quest’articolo si focalizzerà su un altro aspetto, segnalato solo da Il Fatto Quotidiano del 3 giugno. I tre generali in pensione, tutti e tre in successione capi di stato maggiore, secondo il quotidiano sarebbero tra coloro “che hanno garantito che il muro di gomma” contro ogni tentativo di scoprire la verità sulla strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980. L’articolo di Barbacetto sottolinea che nessuno dei 3 ha “alcuna responsabilità penale individuale in questa vicenda” ma ricorda come ci sono state “condanne per un’ottantina di militari dell’Aeronautica per vari reati, tra i quali falso e distruzione di documenti” e come sia ormai acclarata e documentata l’imponente azione di depistaggio, inquinamento e sottrazione di prove “in nome di segreti da mantenere e alleati internazionali da coprire”.
C’è un ufficiale che si è impegnato in prima persona nella ricerca della verità sulla strage di Ustica e che, per questo, sta pagando un prezzo altissimo da decenni: Mario Ciancarella. Mario Ciancarella era capitano pilota dell’Aeronautica Militare al momento della strage di Ustica. Negli anni era diventato punto di riferimento del Movimento Democratico dei Militari. Ricevuto dal Presidente della Repubblica Pertini nel 1979 – racconta l’Associazione Antimafie Rita Atria – “insieme a Sandro Marcucci e Lino Totaro, Mario Ciancarella era divenuto referente delle rivelazioni da tutta Italia delle vere o false ignobiltà che si compivano nel mondo militare”. Questo suo ruolo, denuncia l’Associazione (che dalla sua fondazione, 22 anni fa, si è schierata al fianco e sta sostenendo la battaglia di Mario Ciancarella), “divenne talmente scomodo da indurre qualcuno molto in alto a falsificare, nell’ottobre 1983, la firma del Presidente Pertini nel Decreto Presidenziale di radiazione”. Un decreto che gli è stato consegnato solo nove anni più tardi, dopo la morte di Pertini. Il Tribunale Civile di Firenze ha confermato i “dubbi” di Mario Ciancarella e dell’Associazione Antimafie Rita Atria: “La firma del Presidente Pertini – leggiamo in un comunicato della stessa Associazione – che compare sul quel decreto è un volgare falso”, accertato “sulla base di due perizie – una di parte ed una disposta dal Magistrato – che hanno potuto rilevare come il falso sia tanto evidente quanto eseguito con assoluta approssimazione”.
Dettori e Marcucci
A Ciancarella si rivolse il maresciallo Mario Alberto Dettori, che era radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, che gli disse “Capitano siamo stati noi …”, “Capitano dopo questa puttanata del Mig libico” “Siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù”. Parole, tralasciate dalle indagini ufficiali sulla strage e riprese nel 1999 solo dal quotidiano Liberazione, di cui “non esiste una qualche prova audio” ma – sottolinea l’avvocato Goffredo D’Antona – che rimangono “nella memoria” di Ciancarella che le ha raccontate. Il capitano radiato con firma falsa di Pertini, sottolinea l’avvocato Goffredo D’Antona in un comunicato dell’Associazione Antimafie Rita Atria, “non è il solo ad affermare che quella notte il radarista aveva visto qualcosa di spaventoso. Lo dicono soprattutto i suoi familiari. Era sconvolto e proprio a loro più volte disse che non poteva raccontargli quello che aveva visto quella sera, un modo probabilmente per tutelarli. Cercherà di parlare solo con Ciancarella per ovvi motivi: lui era un ufficiale, oltre che il leader del Movimento Democratico delle Forze Armate, elemento che avrà convinto Dettori a fidarsi di lui”. “Tornò a casa stravolto. Sul radar aveva visto tutto. Alberto aveva visto tutto e aveva dato l’allarme. Qualcuno lo picchiò e gli disse fatti i cazzi tuoi” raccontano i familiari.
Dettori fu trovato impiccato nel 1987. Una morte liquidata inizialmente come suicidio, tesi a cui la famiglia non ha mai voluto credere.
Una storia simile a quella di un altro “ufficiale democratico”, Sandro Marcucci, morto in un incidente aereo (avvenuto in circostanze a dir poco controverse in un incidente che tanto accidentale non è mai apparso) sulle Alpi Apuane nel 1992. “Mio fratello non poteva essersi suicidato – è la convinzione espressa in un’intervista nel 2013 anche dalla sorella Antonietta (deceduta due mesi dopo l’intervista) – era un uomo solare e aveva un solido equilibrio interiore che gli derivava dall’amore per la sua famiglia, per il suo lavoro e per l’Aeronautica. Quando ci avvertirono della sua morte e andai a Grosseto, capii subito che i miei dubbi avevano un fondamento. Da parte dei militari sentii infatti nei nostri confronti una grande freddezza, quasi ostilità. E poi quelle pressioni sulla moglie perché non chiedesse un’inchiesta sulla morte di Alberto. Per non parlare dell’autopsia non fatta. Ma come, mio fratello era stato trovato impiccato a un albero, a un ramo obiettivamente troppo in alto, e non si è voluto verificare se sulla mani avesse le tracce dell’arrampicata?”. Alberto Dettori, secondo la sorella, negli ultimi anni era “improvvisamente cambiato. Era preoccupato, impaurito. Il suo stato di tensione emotiva era peggiorato da quando era tornato dalla Francia, dove aveva seguito un corso di aggiornamento. Poi parlai con mia cognata e la sorella di mia cognata. E loro mi raccontarono di come Alberto fosse tornato a casa molto turbato il giorno dopo la tragedia di Ustica”. Il 16 dicembre Goffredo D’Antona, avvocato dell’Associazione Antimafie Rita Atria, ha presentato un esposto alla Procura di Grosseto a nome di Barbara Dettori (la figlia di Alberto) sulla base di “nuovi elementi” che “fanno presumere non si sia trattato di suicidio”. L’esposto, leggiamo in un comunicato dell’Associazione Antimafie Rita Atria, “è frutto delle testimonianze e dei nuovi elementi raccolti in questi anni, correlate anche all’incidente sospetto del Tenente Colonnello Sandro Marcucci (per il quale è in corso una nuova indagine presso la procura di Massa) e al caso emblematico della firma falsa (accertata dal tribunale di Firenze) del Presidente Pertini sulla radiazione del Capitano Ciancarella. Tre storie indubbiamente legate tra loro”.
La battaglia giudiziaria di Ciancarella
Dopo la presentazione di un’interrogazione parlamentare da parte di Claudio Fava e Davide Mattiello nel novembre di tre anni fa, l’avvocato di Ciancarella ha ricevuto un’email certificata con la quale il Ministero della Difesa comunicò che la “pratica” era stata inoltrata alla direzione generale “per i successivi adempimenti di competenza”. Che, per il Ministero, sarebbero solo il risarcimento delle spese legali. Nessuna parola in più sulla gravità dei fatti.
La battaglia di Mario Ciancarella prosegue anche nelle aule di tribunale. Rinviato il 14 febbraio 2018, è stato discusso esattamente 3 mesi dopo, il ricorso presentato presso il TAR di Firenze volto ad ottenere la dichiarazione di nullità del decreto di radiazione. Una nullità che avrebbe avuto come conseguenza il reintegro in servizio nel grado (con la relativa ricostituzione piena della sua carriera giuridica ed economica nel ruolo di appartenenza) e il riconoscimento della pensione da calcolarsi sulla base della ricostituita carriera con il pagamento degli arretrati e di tutti i danni riportati. Nel primo decreto di rinvio il TAR sollevò “seri dubbi” sulla “tardività del ricorso con riferimento sia, al termine in materia di proponimento dell’azione di nullità sia, ancora per quanto concerne il comportamento complessivo tenuto dal ricorrente a partire da quanto quest’ultimo ha avuto notizia dell’esistenza del provvedimento di rimozione oggetto del presente ricorso, comportamento che appare comunque incompatibile con la volontà di opporsi al procedimento disciplinare di cui il ricorrente è risultato destinatario”. Secondo i giudici Mario Ciancarella doveva opporsi, anche senza averne copia, al decreto di espulsione già nel 1983. Davanti al TAR l’Avvocatura dello Stato ha sostenuto la tesi della irrilevanza e della sostanziale inutilità della firma di Pertini. Nella memoria (presentata con sei mesi di ritardo rispetto ai termini prescritti) presentata al TAR si sostiene – ha reso noto la figlia di Ciancarella, Talitha – che “il decreto del Presidente della Repubblica (previsto dalla legge per radiare un ufficiale) non ha valore di fronte alla volontà del ministro della difesa e della forza armata di radiare l’ufficiale in questione. Quindi, anche se è stata dimostrata la falsità della firma del Presidente della Repubblica, la falsificazione della minuta del decreto stesso, la dubbia autenticità della presunta firma di Spadolini sul decreto, la dubbia autenticità del documento stesso fornito a mio padre quasi 10 anni dopo la sua radiazione, non conta”. Con la sentenza 946/2018 il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso, accogliendo le istanze dell’Avvocatura dello Stato, affermando che “il ricorrente ha prestato acquiescenza al procedimento disciplinare, senza impugnare alcun provvedimento e ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di opporsi alla sanzione di rimozione del grado e, più in generale, al procedimento disciplinare”. Al tempo stesso però i giudici hanno rilevato “un comportamento dell’amministrazione certo non esente da critiche, circostanza quest’ultima che impone lo svolgimento di accertamenti ulteriori, diretti a evidenziare l’esistenza di eventuali responsabilità e la commissione di eventuali reati”. Non si hanno ad oggi notizie dell’avvio di questi “accertamenti”. Contro il pronunciamento del TAR Ciancarella ha promosso un ricorso al Consiglio di Stato discusso lo scorso 21 febbraio. La sentenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che non ci fu acquiescenza al procedimento da parte di Ciancarella. Ma ha definito tardivo il ricorso al TAR, senza quindi neanche entrare nel merito. E quindi, al di là del linguaggio giuridico e dei commi di legge, resta un unico e incontrovertibile dato: Mario Ciancarella, ufficiale radiato con firma falsa dell’allora Presidente Pertini per aver cercato verità e giustizia per la strage di Ustica, non avrà giustizia davanti ai tribunali italiani. Il 27 giugno è vicino e, anche quest’anno, avremo cerimonie, commemorazioni e belle parole sulla necessità di verità e giustizia per la strage. Ad oggi solo e soltanto tali, belle parole di circostanza.
Ass. Antimafie Rita Atria: le opacità da rimuovere
Anche dopo la riapertura delle indagini sulla morte di Alberto Dettori, l’Associazione Antimafie Rita Atria ha chiesto a Mattarella, ricordando le sue parole alla vigilia dell’anniversario della strage di Ustica l’anno scorso, di “rimuovere le opacità” sulla radiazione di Mario Ciancarella. “Una delle prima opacità da ripulire con molta energia, visto che già la sentenza del Tribunale di Firenze ha levato ogni ombra di dubbio” secondo l’Associazione che denuncia “per coloro che da anni cercano la verità a tutto tondo non c’è spazio né nelle sedi istituzionali, né sulle maggiori testate italiane (ma siamo nelle retrovie per libertà di informazione e questo è noto)”. Il Presidente della Repubblica, sostiene l’Associazione, “non considera che nella strage di Ustica le vittime sono più di 81” ma “un numero così alto di morti tra chi ha avuto a che fare anche indirettamente alla sera del 27 giugno 1980 non può semplicemente definirsi frutto di un disegno del destino cinico e baro. Per non parlare poi che neanche la sfortuna più totale avrebbe consegnato alla storia la perdita dei tracciati radar a Boccadifalco di Grosseto e il rogo del registro del controllore del traffico aereo dei voli su Grosseto compreso il 27 giugno 1980 – tracciati di quel radar dietro al quale si trovava il Maresciallo Mario Alberto Dettori, “suicidato”. “La documentazione non è stata resa interamente pubblica – aggiungono ancora gli esponenti dell’Associazione – visto che sulla strage di Ustica molti documenti non è possibile consultarli perché coperti dal segreto militare. Un bel gioco delle tre carte. Giusto per fare un esempio:
– C’è ancora il segreto di Militare sulla documentazione inerente all’esercitazione militare che si svolse con l’Awacs, i caccia militari di Grosseto e Cameri, il Pd 808 , ll C47 , il Mig inoffensivo. (Dietro il radar a Poggio Ballone c’era Mario Alberto Dettori).
-Non esistono o non sono consultabili o sono secretati i verbali di distruzione dei volumi con le strip dei piano di volo e progresso volo dei voli di Cameri , Grosseto, Pisa, Pratica di Mare, Licola e Marsala.
– Non sono consultabili i registri della R.i.v di Roma, la maggior parte dei registri e della documentazione radaristica nelle basi aeree militari italiane di Cameri, Grosseto, Pisa, Pratica di Mare, Licola e Marsala, i libretti di volo di chi partecipò all’esercitazione militare: l’Awacs Usa, i caccia di Grosseto e Cameri, il Pd 808 , il C47 e la documentazione del pilota del Mig”.