“L’aeroporto influenzerà l’integrità di un complesso paesaggio Inca e causerà danni irreparabili a causa del rumore, dell’aumento del traffico e dell’urbanizzazione incontrollata. Questo è un territorio unico, con terrazzamenti e percorsi progettati dagli Inca: mettere un aeroporto qui lo distruggerebbe!” le parole di Natalia Majluf, famosa storica dell’arte Peruviana, nonché professoressa all’Università di Cambridge, sono pesanti come macigni, come gli stessi blocchi di pietra scolpiti con arcana precisione con cui gli Inca innalzavano le loro maestose città. L’accademica si è fatta promotrice di una petizione contro il nuovo aeroporto, nella quale si chiede al presidente peruviano, Martín Vizcarra, di riconsiderare o per lo meno spostare l’aeroporto dalla località di Chinchero, un pittoresco paesino, anch’esso di origine Inca, a circa 3.800 metri sul livello del mare, porta d’accesso alla Valle Sacra dell’Impero Inca. “Non penso che ci sia un solo archeologo o storico che lavori nell’area di Cusco che non abbia firmato la petizione” ricalca la Majluf.
Si teme infatti che le orde di turisti, che atterreranno nel nuovo aeroporto, diventino un problema ingestibile e possano avere un impatto insostenibile sulla cittadella, se non irreversibile, come già successo in altri siti archeologici, meno delicati e conservati. Machu Picchu (la “vecchia montagna”), eletto nel 2007 come una delle Sette Meraviglie del mondo moderno, è anche il terzo sito archeologico più grande del mondo dopo gli scavi di Pompei e Ostia Antica, a cui l’Unesco concesse lo status di “Patrimonio dell’Umanità” già nel 1983. L’aeroporto disterebbe a meno di 30 km dal suo ingresso, in un territorio già avvolto da tradizioni e sacralità profondamente antiche, accogliendo aerei molto piú grandi rispetto a quelli che atterrano attualmente a Cusco. Si perché Cusco già possiede un aeroporto internazionale, sebbene dotato di una sola pista.
“È ironico e contraddittorio che qui, a soli 20 minuti dalla Valle Sacra, il nucleo della cultura Inca, vogliano erigere un aeroporto – esattamente sopra a ció che i turisti vengono a vedere”, a parlare è Pablo Del Valle, uno degli antropologi piú riconosciuti di Cusco. Al suo coro si aggiungono, preoccupati, innumerevoli studiosi, tra storici e archeologi, che, assieme alla stragrande maggioranza della popolazione locale, inutilmente si sono opposti alla decisione del governo centrale, appellandosi al fatto che lo scalo di Cusco sia piú che soddisfacente. In questi giorni, la comunità di Cuzqueñosha dovuto assistere alla posa dell’emblematica prima pietra, in questo caso peró, mestamente rappresentata da una serie di bulldozer che hanno già iniziato a scavare, spianare e spostare tonnellate di terra nei pressi del paesino, una volta cuore della civiltà Inca.
Il progetto, finanziato da una cordata di coreani e canadesi, prevede un’area di circa 40.000 metri quadrati, con diverse piste di atterraggio e 11 porte di imbarco, la cui consegna è prevista per il 2023. Entro quella data, le autorità peruviane si aspettano di essere in grado di attrarre più di 6 milioni di turisti all’anno; ben oltre il milione e mezzo di visitatori del 2017, che già rendono Machu Picchu il principale destino del paese (nonché tra i primi di tutta l’America Latina), mettendo a dura prova le fragili rovine e l’ecologia locale. Ci si dimentica, infatti, che solo 5 anni fa, per preservare la zona da valanghe di persone, la capacità massima di carico del sito era stata ridotta a 5.600 turisti al giorno, già più del doppio rispetto al limite di 2.500 raccomandato dall’Unesco (per cui l’ente ha minacciato di inserire Machu Picchu nella lista dei “Patrimoni dell’Umanità” in pericolo). Quindi perché volerne di piú?
L’idea di un aeroporto piú vicino alle rovine di Machu Picchu risale agli anni ’70, con l’intento di saltare lo scalo di Cusco e aprire l’area a voli internazionali. Un promessa già fatta dai tanti presidenti che hanno preceduto Vizcarra, tutti tra l’altro finiti male, chi in galera, chi sotto inchiesta o addirittura morto suicida per scandali di corruzione. Ma questo governo sembra fermo nella sua decisione. Vizcarra difende l’opera a spada tratta: “l’aeroporto non è un’improvvisazione, non mette a rischio Machu Picchu e si farà”, mentre il ministro delle finanze, Carlos Oliva, spiega ai giornalisti che: “questo aeroporto sarà costruito il prima possibile perché è estremamente necessario per la città di Cusco. Esiste una serie di studi tecnici che ne supportano la costruzione”. Paradossalmente peró l’aeroporto potrebbe avere un effetto nefasto sulle entrate a lungo termine: potrebbe rimpiazzare un turismo forzatamente lento, consapevole e avventuroso, da un turismo più veloce, agevolato dal fatto che arrivando in aereo, i turisti, potrebbero restare per periodi più brevi, e consumare meno, producendo sí un via vai di gente insostenibile.
Oggigiorno per arrivare a Machu Picchu si deve prendere un bus per circa 7-8 ore che ti lascia nella località di Hidroelectrica, realizzare un’escursione di circa 2-3 ore per arrivare a Aguas Calientes (il paesino con PIL pro capite piú alto del Perú) per poi, dopo aver pernottato in un albergo locale, ci si lancia all’ascensione della “scalinata della morte” per accedere alla cittadella nascosta. Certo, i meno sportivi possono optare per la soluzione bus – treno – bus, pur sempre impiegandoci i due o tre giorni indispensabili per l’andata e ritorno da Cusco. Insomma, invece di apprezzare i paesaggi montani e la foresta pluviale al confine con l’Amazzonia, un territorio rimasto in gran parte quello che circondava la città – perla degli Inca, ai futuri visitatori sarà sempre più permesso un turismo di massa, “mordi e fuggi”. Ma il turismo non può crescere infinitamente, a meno che non si voglia trasformare la Valle Sacra in un parco di divertimenti a tema.
La popolazione locale, con cui ho avuto l’onore di conversare pochi mesi fa, si sente intirizzita, raggelata da una miscela di sentimenti tra l’orrore e l’indignazione, sempre impotente di fronte al “dio denaro”.“Pensa al rumore, all’inquinamento atmosferico, alle malattie che porterà” sostiene una signora artigiana di Chinchero, intenta a creare le tinte naturali con cui colorare i tessuti e i maglioni da vendere al mercato. “Viviamo pacificamente qui, non ci sono ladri, non ci sono criminali. Ci saranno progressi economici con l’aeroporto, ma molte cose cambieranno” commenta un’altra ragazza, nel chiasso di un bus che sta ripartendo alla volta di Cusco. “Possiamo anche dimenticarci di questo paesaggio, di questa pace, di questo tramonto, quando l’aeroporto sarà attivo” mi confessa il ragazzo – guida turistica – con cui, dalla cima di una collinetta fuori paese, sto ammirando, a occhi nudi, uno dei tramonti piú riconciliatori del mio viaggio. E in cuor mio mi chiedo, cosa penserebbero adesso i grandi Tupac Inca Yupanqui, Huayna Càpac, o Atahuallpa, l’ultimo imperatore Inca, nel vedere le loro terre, una volta rispettate e scientificamente coltivate, e le loro urbanizzazioni, cosí acutamente disposte, devastate in questo modo? Crudelmente banalizzate da uno sviluppo senza fine? Forse lo stesso che proviamo noi quando, a fatica, ci ricordiamo di come erano belli i posti dove siamo nati.
Articolo di Marco Grisenti