Nel programma radiofonico Pressenza Internacional En la Oreja , abbiamo parlato con Padre Ismael Melo, direttore di Radio Progreso, in Honduras. Offriamo ai nostri lettori la trascrizione dell’intervista.
L’audio dell’intervista (in spagnolo)
Qual è l’atmosfera in Honduras?
Viviamo in un ambiente in ebollizione, è tutto sottosopra, assolutamente tutto. Lo scoppio di manifestazioni diverse settimane fa sulla difesa della salute e l’istruzione, guidate dai sindacati e i lavoratori della sanità e istruzione, formate su ciò che loro chiamano piattaforme per la difesa della salute e dell’istruzione, ha sollevato tutto il malessere compresso negli ultimi mesi da ampi settori sociali dell’Honduras.
In fondo, ciò che accade è che nessuna delle richieste sociali si limita alla questione sociale o salariale o a qualsiasi richiesta specifica perché, in realtà, la base di tutto sta nel malessere e nel profondo ripudio dell’attuale amministrazione guidata da una vera e propria mafia criminale e di narcotrafficanti. Quindi, ogni tipo di domanda sociale porta inevitabilmente alla lotta politica per l’uscita di Juan Orlando Hernandez dal potere.
Inoltre, Juan Orlando Hernandez viene da un processo decennale di costruzione di una dittatura nel quadro di un colpo di stato ancora in vigore, 10 anni dopo il colpo di stato del 18 giugno 2009, ha ancora tutte le caratteristiche di un progetto autoritario basato sull’arbitrarietà e sulla militarizzazione della società. In Honduras, qualsiasi tipo di reclamo, qualsiasi tipo di protesta ha una risposta militare, non solo con gas lacrimogeni, ma anche con proiettili vivi.
Per tutto questo, per la stragrande maggioranza della società honduregna questa è una dittatura: è un governo illegale, fraudolento, illegittimo, usurpatore del potere della popolazione espresso nelle urne elettorali.
La forza e la solidarietà della mobilitazione sociale honduregna è un esempio per il continente. Qual è il suo giudizio?
Infatti, c’è uno sviluppo dell’organizzazione e della fiducia. Ma c’è ancora molta strada da fare. In primo luogo, perché il potere di Juan Orlando Hernandez è ancora molto grande. E’ vero che c’è una certa breccia nelle Forze Armate e anche nella Polizia Nazionale, ma il presidente ha ancora la lealtà di queste forze perché devono proteggersi a vicenda dalle questioni della criminalità e del traffico di droga.
I progressi sono stati fatti, ma c’è ancora molta strada da fare per rafforzare la fiducia in noi, sviluppare e consolidare organizzazioni che possono portare a un unico obiettivo: la fine della dittatura.
Un segnale importante è che alcuni settori dell’economia honduregna hanno preso le distanze dal regime e hanno manifestato pubblicamente contro di esso. La Conferenza Episcopale dell’Honduras, che ha svolto un ruolo importante, si è pronunciata con fermezza. Così, a poco a poco, la dittatura è messa alle strette e i suoi giorni sono contati.
E il processo di articolazione politica e di unità, come lo valuta?
L’articolazione si svolge intorno all’uscita dal potere di Juan Orlando Hernandez con la sua struttura criminale. E’ vero che tra due anni e mezzo ci sono le elezioni, ma in questo momento il problema non è quello delle elezioni. Dobbiamo uscire dalla dittatura e proporre un periodo di transizione che riporti all’ordine costituzionale. Al momento stiamo lavorando sodo sull’articolazione per raggiungere tale obiettivo.