“Lasciare spazio agli striscioni del campionato Under 21”, “Evitare speculazioni politiche”, “Era impolverato”, “Il vento l’aveva rovinato”, “No a campagne con striscioni e braccialetti”.
Questo è un piccolo campionario delle motivazioni che, nell’ultimo anno (ossia, dalla formazione del governo nazionale) e soprattutto nell’ultimo mese (cioè, dopo le elezioni amministrative), hanno spinto alcune amministrazioni – tra cui quella del Friuli Venezia Giulia – a rimuovere dalle facciate dei palazzi istituzionali lo striscione “Verità per Giulio Regeni”.
Ho tenuto da parte l’ultima. Perché, non credo involontariamente, l’ha espressa il sindaco di Sassuolo: “Quella di Giulio Regeni è una storia vecchia”.
La prima cosa che viene in mente è che se davvero quella di Giulio, a 41 mesi dal suo rapimento al Cairo, è una “storia vecchia”, lo è diventata perché il governo egiziano voleva che fosse così e perché tre distinti governi italiani non hanno fatto niente per impedirlo.
Ma non è una “storia vecchia”, quella di Giulio, no. Non lo è neanche quella di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, eppure è passato un quarto di secolo. Le storie non invecchiano fino a quando non si arriva alla verità.
Chi fa campagne per i diritti umani, soprattutto chi le fa in prima persona – sopravvissuti e testimoni – sa che i tempi sono lunghi: la ricerca della verità e della giustizia coinvolge più generazioni. La ricerca della verità e della giustizia è un fastidio per molti, sì. Perché obbliga a ricordare, costringe a pensare al presente.
Se il sindaco di Sassuolo e i suoi colleghi pensano che rimuovendo lo striscione “Verità per Giulio Regeni” ci abbiano spinto a dimenticare e a parlare di Giulio al passato, hanno commesso un errore madornale.