La prima causa legale per costringere lo Stato a politiche ecologiste incisive: è partita la campagna “Giudizio Universale – Invertiamo il processo”. L’onda verde che attraversa l’Europa arriva anche in Italia. Rita Cantalino: “Italia particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, serve azione corale”
Portare lo Stato italiano, colpevole dei cambiamenti climatici, in tribunale. É questo l’intento della campagna Giudizio Universale – Invertiamo il processo, lanciata da un gruppo di associazioni e cittadini italiani lo scorso 5 giugno, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente.
Una strada difficile e ambiziosa, quella imboccata da questa campagna: chiedere ai giudici di condannare lo Stato per la violazione del diritto umano al clima. La causa sarà depositata ad ottobre. Una novità per la giurisprudenza italiana ma non per quella europea o di altri Stati, in cui contenziosi simili sono stati già presentati: alle volte contro le imprese, contro i singoli progetti oppure contro gli Stati stessi.
Il movimento per la giustizia ambientale fa la voce grossa anche nel nostro Paese. Inizia così a far rete e fare pressione affinché le politiche pubbliche cambino, e cresca di pari passo la coscienza tra la popolazione.
E che serva un cambio di rotta immediato non è una novità. Sono evidenti e, spesso tragici, gli eventi climatici ormai fuori controllo e fuori stagione che colpiscono sempre di più il nostro ecosistema. Temperature estreme, molto fredde o molto calde, tornadi, piogge torrenziali e tutta una serie di cambiamenti che hanno ormai alterato i ritmi delle stagioni, le disponibilità idriche e le economie dei territori. Dopodiché è la vita stessa, come specie umana, e il suo adattamento, che viene messa in discussione.
Campagne come Giudizio Universale possono aiutarci ad aprire gli occhi, per chi ancora non si accorge o non vuole accorgersi di quel che succede, e provare a fare qualcosa di concreto. Ne abbiamo parlato con Rita Cantalino, responsabile stampa della campagna.
Cantalino, ci presenti questa campagna. Come è nata e chi siete?
Giudizio Universale è una campagna portata avanti da un gruppo di associazioni ambientaliste, comitati territoriali da sempre impegnati contro grandi opere e devastazione ambientale, singoli e singole preoccupati per i cambiamenti climatici e per le conseguenze che questi avranno sulla vita delle popolazioni. Nasce dal fatto che tutti e tutte abbiamo sempre condotto, ognuno con la sua specificità, battaglie ecologiste e contro il climate change, ma ci siamo sempre dovuti scontrare con il limite costitutivo di queste battaglie: per quanto noi possiamo fare ragionamenti e dotarci di pratiche virtuose, per combattere i cambiamenti climatici serve un’azione istituzionale e politica decisa e i governi che si sono susseguiti, anche nel nostro Paese, non l’hanno mai voluta mettere in campo.
Abbiamo guardato con grande attenzione a quello che i movimenti ecologisti hanno prodotto nel mondo e in Europa: sono più di mille le azioni legali di questo genere e anche molto vicine a noi. In Olanda una causa che partiva dalla stessa denuncia ha vinto tutti i gradi di giudizio; in Francia ne è stata presentata una che ha raccolto l’adesione e il sostegno di oltre due milioni di cittadini. In Italia nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere: abbiamo deciso di fare questa scommessa tutti insieme.
Sappiamo che occorrerebbe un grosso impegno da parte delle istituzioni e dei governi per arrivare veramente ad un cambio di direzione delle politiche pubbliche in materia ambientale. Voi volete andare in tribunale per fermare i cambiamenti climatici, per far cambiare rotta alle politiche del nostro Paese. Come è possibile raggiungere questo obiettivo con una causa? Quale è la vostra strategia e quali sono i riferimenti scientifici?
Utilizzare lo strumento legale per chiedere una maggiore azione degli Stati nella lotta ai cambiamenti climatici non solo è possibile, ma è anche già stato fatto con successo, come accennavo prima, in Olanda, dove la Fondazione Urgenda e circa mille cittadini hanno vinto la causa intentata contro lo Stato per chiedere target di riduzione delle emissioni più ambiziosi.
Noi vogliamo rifarci proprio a quel caso, chiedendo che l’Italia segua le raccomandazioni della comunità scientifica per mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia critica di +1.5°C rispetto al periodo preindustriale.
In questo campo, l’organo più autorevole è rappresentato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici fondato dalle Nazioni Unite trent’anni fa, che raccoglie scienziati da tutto il mondo per produrre rapporti di valutazione delle attuali conoscenze scientifiche su clima, mitigazione e impatti, avallati dai governi. Secondo l’ultimo rapporto, se la soglia degli 1.5°C venisse sforata, le conseguenze sugli ecosistemi e sulle società umane sarebbero devastanti: dall’innalzamento del livello dei mari e la scomparsa di vaste aree costiere, alla grave scarsità d’acqua e le siccità sempre più lunghe e intense, dall’incremento di fenomeni meteorologici estremi come tornadi, cicloni e alluvioni alla perdita di biodiversità, fino al crollo dei sistemi produttivi, all’emergere di nuovi conflitti e a fenomeni di migrazione di massa. E come calcolato dall’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), oggi come oggi, anche se tutti gli Stati rispettassero gli impegni presi a livello internazionale, arriveremo a un innalzamento delle temperature medie globale addirittura doppio, di oltre 3°C in più rispetto al livello preindustriale.
Per questo chiediamo alla Corte di riconoscere la gravità della situazione in cui ci troviamo e dei rischi che stiamo correndo, obbligando lo Stato a un deciso cambio di passo.
Le politiche ambientali quando e se vengono attuate sono politiche lente. I risultati, quando arrivano, non si raccolgono nell’arco di una tornata elettorale (motivo per cui spesso sono bypassate dai politici e dai decisori). Il cambiamento climatico invece ha bisogno di risposte immediate. In Italia, tribunali e politica non sembrano distinguersi certo per velocità su queste tematiche. Che tempistiche vi aspettate? Possono combaciare con i vostri obiettivi?
In genere una causa civile dura circa tre anni: è evidente che si tratta di tempi lunghi per un’azione che invece dovrebbe essere immediata; come è evidente, però, che questo tipo di azione non è assolutamente nelle intenzioni di questa e delle passate classi politiche. Proprio per questo, Giudizio Universale non vuole essere soltanto un’azione legale: è per questo che molto prima del deposito della causa – che ci sarà in autunno – abbiamo lanciato la campagna, che ci vede mettere insieme i singoli percorsi di battaglia che facciamo ogni giorno, e raccogliere tutti quelli che vorranno aggiungersi. L’azione legale è uno dei tanti strumenti di pressione di cui ci dotiamo per spingere chi di dovere a mettere in campo politiche più ambiziose e tutelare le nostre vite e i nostri territori.
I cambiamenti climatici sono ormai innegabili, tanto quanto le responsabilità umane. Lentamente questa consapevolezza sembra crescere. Greta Thumberg ha dato una bella scossa alle nuove generazioni e non solo, il movimento per la giustizia climatica è ormai sulla scena internazionale. Che risposta avete avuto fino ad oggi e cosa vi aspettate nei prossimi mesi prima del deposito ufficiale?
L’ondata di entusiasmo e di contatti che ci ha travolti ci ha lasciati senza parole. Sono stati in centinaia i singoli e le associazioni, i comitati e i gruppi che ci hanno chiamati per conoscerci, aderire, organizzare iniziative.
In oltre 25 Paesi la società civile ha già fatto causa allo Stato, a imprese o a soggetti con progetti molto impattanti sul clima. Ci racconti qualche esempio.
Prima abbiamo menzionato il caso dell’Olanda, primo caso al mondo di una battaglia legale di questo tipo contro uno Stato risultata vittoriosa. In quell’occasione, la Corte ha condannato lo Stato ad adottare i target di riduzione delle emissioni per il 2020 indicati proprio dall’IPCC, riconoscendo il dovere dello Stato di assumersi le proprie responsabilità rispetto ai cambiamenti climatici e di proteggere le generazioni presenti e future dalle loro dannose conseguenze, limitandone il più possibile gli impatti. Anche nel successivo ricorso, lo Stato olandese è stato sconfitto.
Da quella vittoria, è nata un’ondata di entusiasmo che ha portato alla moltiplicazione delle azioni intraprese dalla società civile: in Europa al momento sono in corso o stanno per partire iniziative di questo tipo anche in Francia, Irlanda e Belgio, e una contro l’intera Unione Europea.
Cosa possono fare i cittadini, i gruppi o chiunque abbia voglia di darvi una mano?
Possono fare moltissime cose! Innanzitutto darci una mano nel lavoro di diffusione dei nostri account social (Facebook, Instagram e Twitter) e del nostro sito: arrivare in maniera capillare a ogni territorio del Paese è la nostra grande ambizione. Possono poi organizzare momenti pubblici per presentare la campagna, raccogliere mandati, sostenere la raccolta firme (digitale, senza sprecare carta) e per aiutarci nel nostro crowdfunding su Produzioni dal basso. Sicuramente, vista la grande adesione dei gruppi territoriali, nei prossimi mesi faremo delle iniziative e azioni coordinate: possono partecipare anche a queste! Infine, siamo sempre molto contenti di tutti quelli e tutte quelle che ci hanno scritto mettendo a disposizione le proprie competenze scientifiche e legali, per poter partecipare insieme alla costruzione di questa battaglia.
di Gabriele Caforio per Il Taccoditalia
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