“La Tunisia ha una lunga tradizione di partecipazione civile legata al Primo maggio e ieri a Tunisi in molti hanno sfilato anche in ricordo di sette contadine morte giorni fa, e per chiedere più diritti per le donne delle regioni rurali”. A parlare con l’agenzia ‘Dire’ è Renata Pepicelli, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Pisa.
L’esperta fa riferimento a un fatto di cronaca che ha suscitato “una forte ondata emotiva nel Paese” e rilanciato il dibattito sui diritti dei lavoratori, ma soprattutto delle lavoratrici: la settimana scorsa 12 persone tra i 18 e i 30 anni che si stavano recando nei campi sono morte in un incidente stradale a Sabala, nella regione centrale di Sidi Bouzid. Sette delle vittime erano donne: viaggiavano sul retro di un camion
quando il mezzo si è rovesciato.
“La vicenda ha rimesso al centro il tema dei diritti delle donne che vivono e lavorano in contesti rurali” dice Pepicelli, che prosegue: “Stando ai media locali queste donne guadagnano in media sette dinari al giorno, l’equivalente di circa due euro, a fronte di 12 ore di lavoro”. Secondo la docente, la società, fortemente patriarcale nelle zone rurali, “prevede che la cura della casa e dei figli spetti alla donna”. Una realtà difficile, su cui le associazioni femminili e di settore chiedono con forza leggi adeguate. Ma discriminazioni e sfruttamento non avvengono solo in ambito contadino.
Se da un lato servono più leggi a garanzia dei lavoratori e in particolare delle lavoratrici, secondo la docente bisogna anche favorire azioni volte al rispetto di quelle già esistenti. Perché la Tunisia, ricorda Pepicelli, almeno sulla carta è
all’avanguardia nel garantire i diritti delle donne.
E gli esempi sarebbero tanti: si va dal Codice della famiglia del 1956 che vietò la poligamia e concesse il divorzio ai primi consultori per la pianificazione familiare negli anni Settanta, quando fu legalizzato l’aborto, o, più di recente, alla legge contro le violenze sessuali e i femminicidi.
E’ in corso in questi giorni anche il dibattito sul tema dell’eredità che, per il diritto islamico tradizionale, in generale fa sì che alle donne spetti una quota di beni inferiore rispetto ai parenti maschi. Nel 2017, evidenzia Pepicelli, il presidente Beji Caid Essebsi ha istituito un organismo apposito: la Colibe, in francese acronimo di Commissione per le libertà individuali e l’uguaglianza, incaricata di analizzare la
questione e fornire raccomandazioni che poi serviranno al parlamento per definire una proposta di legge.
Più in generale, “colpisce quanto il dibattito sia vivo, sia a livello istituzionale che di società civile” dice Pepicelli. La docente ha assistito a Tunisi al Forum internazionale per l’uguaglianza di genere, che si è tenuto dal 23 al 24 aprile. Una iniziativa lanciata nel 2018 dal governo svedese, a cui hanno partecipato anche quest’anno oltre 500 persone da tutto il mondo tra esperti, politici e attivisti.
“Non è un caso che Tunisi sia stata scelta per la seconda edizione” osserva Pepicelli. Contro pratiche discriminatorie, violenze di genere e una certa mentalità patriarcale, assicura la studiosa, “le donne non smettono di far sentire la propria voce in ogni settore e con ogni mezzo”.
Pepicelli aggiunge: “Sono sempre di più le donne che studiano, lavorano e spesso costituiscono il perno dell’economia della famiglia. I figli in media per donna si sono ridotti a due, mentre si allunga l’età del matrimonio. L’impianto patriarcale è messo profondamente in crisi da questa realtà”.