Il 15 maggio è la Giornata Internazionale dell’obiezione di coscienza al servizio militare. La mia intervista con Ercan Aktas.
Ercan è un obiettore di coscienza, cittadino della Repubblica di Turchia, paese in cui l’obiezione di coscienza non è riconosciuto come un diritto ma il servizio militare è un obbligo per tutti i cittadini maschi che compiono vent’anni di età.
Ercan ora vive in Francia, tra la capitale, la zona basca e nel resto del sud. Ha dovuto lasciare il suo paese di nascita e chiedere rifugio qui perché erano in atto quattro processi contro di lui, tutti per via della sua posizione antimilitarista e contro la guerra e lui ha preferito portare avanti la sua lotta fuori dalla Turchia e non dentro il carcere.
46 anni, occhi a mandorla, capelli e barba grigiastri, un viso sorridente e una faccia con i segni di una vita arricchita di lotta e resistenza. Ercan è il trentacinquesimo obiettore di coscienza della Turchia ed è uno dei fondatori della prima associazione degli obiettori di coscienza per la pace del Paese. “Sin da piccolo ho sempre rifiutato il concetto della divisa e delle strutture gerarchiche. Grazie ad una serie di persone che ho conosciuto e le loro opere scritte ho scoperto questa posizione culturale e politica. Quindi il 15 maggio del 2005 ho deciso di dichiarare pubblicamente, a Smirne, la mia obiezione di coscienza contro il servizio militare obbligatorio”.
Ercan dopo la dichiarazione della sua scelta è stato processato e condannato a dieci mesi di carcere in un centro di detenzione dell’esercito. Inoltre in diverse occasioni pubbliche è stato minacciato e boicottato.
La nuova vita di Ercan non riguardava soltanto la sua personale scelta ma era un nuovo modo di vedere il mondo. “Da quando faccio parte della famiglia degli obiettori di coscienza lotto contro il concetto della guerra. Lavoro sempre in collaborazione con i gruppi delle donne, anarchici, persone lgbt, collettivi e partiti di sinistra ma anche conservatori. Il nostro obiettivo comune è quello di scardinare la cultura militarista radicata in Turchia che legittima un’aria permanente di guerra”.
Nel 2011 la Corte Europea dei Diritti Umani ha espresso il suo parere negativo in merito all’obbligo di servizio militare in Turchia. Il governo attuale, ma anche quelli precedenti, giustifica questo obbligo dicendo che “lotta contro le organizzazioni terroristiche dentro e fuori dal Paese”. Quindi ha bisogno di un esercito forte e numeroso. La nazione assiste ad un conflitto armato, da più di trenta anni, tra l’esercito e le forze armate del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), la realtà definita come “terroristica” da parte dello Stato. Inoltre in questi ultimi sei anni la guerra civile in Siria non ha reso facili le cose. La formazione di una forza di resistenza armata in Rojava, ovvero le YPG e YPJ, ispirate ai principi del PKK, la nascita e crescita dell’ISIS e per di più il fallito tentativo di golpe del 2016 hanno rafforzato quella cultura nazionalista e militarista nel Paese. Il ruolo delle forze armate dello Stato è diventato sempre più centrale. Inoltre, particolarmente durante le operazioni oltre confine, ad Afrin, in numerose scuole e piazze sono state organizzate degli eventi di massa in sostegno dei soldati in missione.
Prendere una posizione contro la cultura militarista rifiutandosi di andare a svolgere il servizio militare obbligatorio ha delle conseguenze molto pesanti in Turchia. Infatti Ercan è sotto processo per la violazione dell’articolo 318 che impedisce a chiunque di fare propaganda antimilitarista. Gli altri percorsi legali che hanno spinto Ercan a lasciare il paese sono legati all’articolo 301 che riguarda il vilipendio del Presidente della Repubblica, i suoi articoli contro gli scontri tra l’esercito ed i militanti del PKK, nelle località di Sur e Cizre e le multe che non ha pagato. Infatti un obiettore di coscienza deve fare conti anche con le multe molto salate legate alla sua scelta. Nel caso in cui non potesse saldare il conto si aprono le porte dei centri di detenzione.
“Una volta dichiarata l’obiezione di coscienza vengono negati una serie di diritti. Per esempio quello di viaggiare perché potresti essere fermato in qualsiasi momento dalla polizia ed arrestato. Diritto alla residenza oppure al lavoro perché o sei ricercato oppure hai una fedina penale non pulita”. Infatti in Turchia quasi tutte le aziende pretendono che i dipendenti maschi abbiano eseguito già il servizio militare. Quindi si tratta di una vita da morte civile. Gli obiettori di coscienza cercano di vivere in clandestinità subendo i danni psicologici di questa situazione.
Secondo Ercan in questi ultimi due anni le condizioni di vita degli obiettori sono diventate ancora più difficili sopratutto per via dello stato d’emergenza che ha negato la possibilità di esercitare una serie di diritti civili. Ovviamente una delle realtà che è rimasta colpita da quest’ondata di censure e divieti è stata l’associazione degli obiettori di coscienza per la pace. Per cui da circa tre anni l’associazione non riesce a svolgere nessuna manifestazione pubblica.
Ercan Aktas porta la sua lotta in Francia in collaborazione con numerose associazioni, gruppi e fondazioni che ragionano e lavorano sul diritto all’obiezione di coscienza e sulla cultura antimilitarista per la pace. Scrive per una serie di portali di notizie in Turchia come Demokrat Haber, Kedistan e Demarkaj. Organizza dei dibattiti e delle conferenze inoltre porto avanti la sua carriera accademica finendo un corso di specializzazione all’università.
La vita da esiliato non è facile, anche per Ercan. “Ho i miei piedi qui in Francia ma la mia testa ed il mio cuore sono rimasti in Turchia. In questi due anni ho scoperto quanto sono appassionato di Istanbul, la città in cui ho vissuto per quindici anni. Ho tutti i miei ricordi e cari in quella città. Per raccontare la mia storia e per mandargli una lettera ho scritto un libro che esce quest’estate. Racconto la vita politica, i giovani, i miei errori e le mie esperienze a Istanbul”.