Il Dovere di Salvare è un convegno che si è svolto venerdì scorso a Roma Tre sulla legge del mare, la politica dei muri e la zona Sar libica.
Divisi tra l’analisi approfondita nel cercare di avere un quadro chiaro di una situazione in continuo peggioramento e quella di trovare subito strumenti concreti di denuncia e di azione per non dover assistere impotenti all’escalation delle morti nel Mediterraneo e non solo, si è svolto il Convegno nella sede di Giurisprudenza a Roma Tre, venerdi 24 maggio 2019 dal titolo: il dovere di salvare.
Dopo i Saluti del Direttore di Dipartimento Giovanni Serges e quelli del Direttore del dirimpettaio Dipartimento di Scienze della Formazione Massimiliano Fiorucci, tocca all’avvocato Arturo Salerni, presidente del Comitato “Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos del Mediterraneo”, promotore del convegno, introdurre l’argomento. Ripercorre sinteticamente il fenomeno in atto, iniziato negli anni ’90, ma acuitosi negli ultimi 12 anni, in cui le migrazioni economiche si sovrappongono a quelle di rifugiati, i migliaia di morti, figli di mancanza dell impossibilità di garantire diritto di asilo, dell’alzare progressivamente muri alle frontiere e sopratutto criminalizzare il fenomeno delle migrazioni.
Dopo il breve tentativo con il varo dell’operazione “Mare Nostrum” di farsi carico da parte dello Stato del salvataggio delle imbarcazioni in difficoltà, si sono succedute politiche che sono drasticamente peggiorate con gli ultimi due governi e con gli ultimi due dicasteri dell’Interno, presieduti da Marco Minniti prima e dall’attuale Matteo Salvini. Alla fine del suo intervento Salerni punta il dito d’accusa sulla confutabilità dell’esistenza della cosi tanto sbandierata zona denominata Sar libica, quel tratto di mare ben più ampio delle acque territoriali libiche che dovrebbe costituire la zona di intervento per il salvataggio da parte di una “fantomatica” formazione di pattuglie libiche. Fondamentalmente si disattende all’obbligo di salvataggio, ci si gira dall’altra parte mentre vengono effettuati respingimenti brutali verso l’inferno dei campi di prigionia libica o peggio ancora si ha la “sparizione” e l’oblio in mare aperto. Come si può confutare l’esistenza della Sar Libica e scoperchiare agli occhi dell’opinione pubblica e delle istituzione il vergognoso baratto tra Italia e ciò che resta della Libia?
Segue l’intervento di Gregorio de Falco, conosciuto dai più per due motivi: essere stato, in qualità di capo sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno colui che “esortava” il comandante Schettino a rientrare a bordo della nave da crociera Costa-Concordia incagliatasi e affondata nelle acque dell’Isola del Giglio; successivamente per essersi opposto pubblicamente alle politiche sulla chiusura dei porti del Ministro Salvini, essendo nel frattempo senatore eletto nelle liste del Movimento 5 Stelle, da cui si è dissociato. L’intervento del senatore è incentrato sul dovere umano ed etico, prima che giuridico, di chi ha responsabilità in mare di fare pienamente il proprio dovere, che è quello di salvare le persone che sono in pericolo di morte. Difende l’operato delle Ong intervenute a sostituire il vuoto creato dalla cessazione delle operazioni “Mare Nostrum” e valuta inesistente la Sar libica in quanto un area così definita deve avere requisiti che invece sono latitanti: lo Stato costiero responsabile deve possedere al facoltà del coordinamento delle operazioni di soccorso, deve avere prontamente notizia della situazione, e la pronta e coordinata uscita in mare di mezzi adeguati di intervento, che termina con la messa in salvo degli eventuali naufraghi, non migranti, ma naufraghi prima di tutto. Elementi che ciò che rimane dello stato libico non possiede, per cui è da valutare inesistente la Search and Rescue zone libica. Quello che può fare e male sono solo respingimenti nelle coste libiche. In realtà tutti i messaggi di intervento sono registrati con la formula “al posto di” quindi sono gli italiani che dirigono le operazioni al posto delle forze libiche. Chi sono? Si domanda. Elenca una serie di omissioni e di carenze dello Stato in questi ultimi casi, come quello del Diciotti e infine ricorda che Lampedusa è più vicina alle coste italiane di Malta, per cui in quelle rotte doveva intervenire l’Italia e non Malta.
Gli succede tra i relatori l’Avvocato Stefano Greco, specializzato in diritto penale, diritto del mare, immigrazione e sta seguendo numerose cause sugli eccidi avvenuti nel Mediterraneo. Da un quadro abbastanza esauriente delle normative e dei “buchi” che si stanno aprendo all’interno di queste per le azioni degli Stati nel mediterraneo. In ogni caso sottolinea come anche se non in zona SAR e non in acque territoriali, il dovere giuridico degli stati di intervenire non cessa.
Claudio Tognonato, professore di scienze della formazione di Roma Tre, nonché esule durante la dittatura argentina degli anni ’70, “rompe” la lunga quetione tecnicistica che stava prendendo il convegno e mette l’accento sul “Che Fare” aldilà di parole che a volte sottraggono e non danno forza all’azione. Parla di responsabilità, c’è una responsabilità dello Stato, ma in questi casi, come nel caso del nazifascismo e delle dittature sudamericane, la responsabilità è di tutti. Come mai tutto ciò è possibile? Perché noi tutti lo rendiamo possibile, dice Tognonato. Cosa fare? Le parole, le leggi, se non applicate sono parole morte. Per fare questo ce bisogno dell impegno, operosità, c’è bisogno di una società attiva, di collettività per dare forza alle iniziative. Ci vuole coerenza.
Chiude infine l’ex console Enrico Calamai, conosciuto come lo “Schindler di Buenos Aires” per aver salvato come console in Argentina migliaia di perseguitati dalla dittatura (compreso il professor Tognonato). Il suo è un accorato appello ad individuare subito una linea di azione che possa essere efficace e fermare l’eccidio in mare, e a mobilitarsi in tal senso.
Andiamo via dalla Sala che ci ha ospitato con quella sensazione di chi sa cosa è giusto fare ma che sente l’impotenza di dispiegare tutte le forze efficaci affinché venga superata questa “onda anomala” dell’indifferenza, del cinismo e infine, della crudeltà che si fa diritto e pratica sociale.
Fulvio Faro