In fondo la morte è questo, dimenticare, cadere nell’oblio, chi dimentica da dove viene, cosa ha fatto, non è più un uomo, è un animale. I tuoi ricordi non vengono dai libri. Le tue storie non sono semplici storie. Se volessi cancellare il mondo, comincerei da te.
Samuel Tarly
Apprendo che a Palermo un’insegnante è stata sanzionata con sospensione dall’insegnamento per non aver vigiliato su una presentazione in cui gli alunni accostavano le leggi razziali al decreto sicurezza.
Apprendo inoltre che tutto sarebbe nato da una segnalazione via tweet indirizzata al Ministro dell’Istruzione Bussetti: «Salvini-Conte-Di Maio? Come il Reich di Hitler, peggio dei nazisti. Succede all’Iti Vittorio Emanuele III di Palermo, dove una prof per la Giornata della Memoria ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina i migranti. Al Miur hanno qualcosa da dire?».
La segnalazione sarebbe stata amplificata dalla sottosegretaria leghista ai Beni culturali che sempre sui social ha scritto: “Se è accaduto realmente andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere”.
Lasciando stare il contenuto del video che occorre giudicare da sé, quello che sorprende è la reazione punitiva e squadrista di un potere che sempre meno vuole essere criticato così che tira giù gli striscioni da alcuni balconi, mentre da altri non perde occasione di scimmiottare il Ventennio cercando a tratti formalmente di farsi passare per democratico.
Nella necessità imperante di neutralizzare lo spazio pubblico da qualsiasi ideologia, e nella tendenza diseducativa di voler cancellare la memoria attraverso una marginalizzazione della storia, si sono create le premesse di questo attacco alla libertà di insegnamento e d’espressione.
La conversione dell’Italia in un regime politico illiberale è confermata quotidianamente da eventi di vario genere che vanno di pari passo con lo sdoganamento e l’accettazione di idee antidemocratiche. La libertà di espressione è attaccata così in tutte le sue manifestazioni che prevedono scontento alle politiche e alla retorica dell’odio.
Quando questa libertà viene sanzionata nel luogo in cui si costruisce lo spirito critico, la scuola, non si possono ignorare i segnali ed occorre un atto di resistenza, uguale e contrario.
Oggi ho portato un partigiano a scuola.
Nato nel 1927, 5 anni dopo la marcia su Roma, Bruno Breschi ha vissuto il periodo della guerra a Livorno e successivamente ha partecipato alle azioni della resistenza toscana della Brigata Matteotti. All’epoca dei fatti aveva l’età degli alunni. Anche per questo gli studenti della scuola nizzarda hanno ascoltato con sorprendente attenzione il racconto delle sue esperienze e le risposte alle loro domande.
Attraverso la carica emotiva delle sue parole, ha ricordato la fame patita, la lotta per la sopravvivenza ma anche cosa significa scegliere di lottare per la libertà, anche quando la sua città era già stata liberata. In questa carica emotiva ho visto la virulenza di chi non vuole che certi errori si ripetano, la stessa con cui nel film del 2015 “Lui è tornato” la signora ebrea riconosce la vera natura di Hitler che tutti avevano sottovalutato ritenendolo un comico.
Il suo è un monito contro ogni forma di nazionalismo e di guerra, ha insistito sulla necessità di cercare sempre un dialogo, da bandire sotto forma virtuale quando ci si può guardare faccia a faccia. Ha esortato gli studenti a viaggiare, a lottare, a ricordarsi che tutto quello che c’è ora lo dobbiamo a coloro hanno lottato per noi.
La presenza in classe di Bruno Breschi è stata rivoluzionaria da un punto vista pedagogico.
Ancora una volta mi sono reso conto che l’insegnamento della storia sui libri è depotenziato di attualità e di interesse.
Per un ragazzo o una ragazza, già generalmente poco interessati allo studio, tanto meno alla storia, l’insegnamento dello spirito critico è ostacolato da varie barriere. Quella posta dall’età, comprensibile; quella posta dalla società odierna che ha bisogno di un encefalogramma piatto per educare al consumo; quella delle tenebre della retorica dell’odio.
La barriera dell’odio non è ancora tanto radicata nei ragazzi, ma occorre prevenire affinché non facciano parte di quelle masse indifferenti o che, a forza di sentirsi dire menzogne finiscono per credervi, facendosi stuzzicare dall’illusione dei nazionalismi.
La testimonianza in classe ha sgretolato ogni barriera.
Si è trattato di un atto di verità storica e di memoria che ha squarciato il velo dell’oblio e delle rappresentazioni edulcorate verso cui si tende inconsciamente generazione dopo generazione.
E’ stato un atto dovuto, di realtà per combattere la banalizzazione della guerra e delle tragedie umane.
Si è trattato di un atto di vita per preservare le giovani coscienze dalla disintegrazione della memoria, la componente che fa di noi degli esseri umani.