Finalmente pubblica la Relazione al Parlamento prevista dalla legge 185/90: l’export militare italiano si attesta su 5,2 miliardi di € di autorizzazioni e 2,5 mld€ di trasferimenti definitivi nel corso dell’anno 2018
Oltre il 70% delle licenze singole finisce a Stati non EU e non NATO: ai vertici della classifica dei Paesi destinatari troviamo Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti.
Germania e Regno Unito ai vertici della classifica dei trasferimenti, ma anche Arabia Saudita, Qatar e Turchia ricevono più di 100 milioni di euro di armi italiane.
Finalmente nota al Parlamento (con l’ormai usuale ritardo di oltre un mese rispetto a quanto prevede la norma) la Relazione governativa sull’export italiano di armamenti che riporta i dati di autorizzazione e vendita riferiti al 2018. Dopo due anni di autorizzazioni complessive per oltre 10 miliardi di euro, il totale riferito allo scorso anno si attesta sui 5,2 miliardi di euro (comprendendo anche licenze globali ed intermediazioni). Il calo rispetto all’anno precedente è del 53% mentre la flessione rispetto al 2016 è del 66%, ma il livello di autorizzazioni rimane sensibilmente più alto del livello “storico” delle licenze, e si pone al di sopra dei totali che si registravano prima della “impennata” di autorizzazioni recente. L’assenza di “mega-commesse” come quelle recenti per gli aerei al Kuwait e le navi al Qatar ha sensibilmente ridotto le cifre complessive, ma che un totale così importante sia prodotto da un più ampio numero di licenze con importi minori è paradossalmente ancora più preoccupante. Complessivamente, per le sole licenze individuali, negli ultimi quattro anni (2015-2018) sono stati autorizzati trasferimenti di armi per 36,81 miliardi cioè oltre 2 volte e mezzo i 14,23 miliardi autorizzati nei quattro anni precedenti (2011-2014).
Anche nel 2018 sono stati oltre 80 i Paesi del mondo destinatari di licenze per armamenti italiani e si conferma quindi la tendenza ad un robusto allargamento del “parco clienti” registrata negli ultimi anni.
I dati sulle licenze concesse inquadrano però solamente gli affari futuri e potenziali dell’industria militare italiana, che anche nel 2018 ha effettivamente trasferito (e quindi fatturato) armi per circa 2,5 miliardi di €, con una non importante flessione di circa il 12%. Per questo motivo il sensibile calo delle autorizzazioni non deve far pensare ad una crisi o rallentamento nella esportazione di armi italiane poiché le aziende stanno comunque incamerando contratti e possibili commesse per un valore doppio rispetto alla effettiva capacità esportativa (senza contare l’enorme ammontare di licenze già ricevuto negli anni scorsi). Nel 2018 hanno in particolare ricevuto effettivamente armi italiane non solo Germania (278 milioni), Regno Unito (221 milioni), Francia (152 milioni) e Stati Uniti d’America (133 milioni) cioè Paesi nostri alleati nell’UE o nella NATO. Ma anche Stati problematici o con situazioni di tensione come Pakistan (207 milioni), Turchia (162 milioni), Arabia Saudita (108 milioni), Emirati Arabi Uniti (80 milioni) ed India (54 milioni), Egitto (31 milioni).
Per quanto riguarda le licenze concesse ai vertici della classifica troviamo Qatar, Pakistan, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, seguiti da Germania, USA, Francia, Spagna e Regno Unito. Completa la “top 10” l’Egitto. Fondamentale (e preoccupante, come da sempre sottolineato dalla nostra Rete Disarmo) constatare che (considerando le licenze singole e non i programmi intergovernativi) addirittura il 72% di autorizzazioni è rivolto a Paesi non appartenenti alla UE o alla NATO (rimanendo a circa il 48% per i soli Paesi MENA, cioè del Medio Oriente e Nord Africa). Siamo di fronte ad un record storico per questo tipo di suddivisione con una tendenza che appare contraria a quanto i legislatori prevedevano nel 1990 approvando la legge 185. Ancora una volta il risultato è chiaro: gli affari “armati” dell’industria militare italiana si indirizzano ancor maggiormente in prospettiva fuori dalle alleanze internazionali dell’Italia e verso le zone più instabili del mondo.
Le aziende ai vertici della classifica per licenze ricevute sono Leonardo (con oltre 3,2 miliardi autorizzati), RWM Italia (quasi 300 milioni), MBDA Italia (234 milioni) e Iveco Defence (quasi 200 milioni) seguite poi da Rhenimetall Italia, Fabbrica d’armi Pietro Beretta e Piaggio Aero (tutte con oltre 50 milioni di licenze).
Nei trasferimenti effettivi (quindi con completamento della produzione e fatturazione) svetta ancora una volta Leonardo (1,1 miliardi complessivi) seguita da Iveco Defence (166 milioni), GE Avio (117 milioni), MBDA Italia (100 milioni) e RWM Italia (90 milioni).
I “casi” Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
Dalla Relazione non figurano provvedimenti relativi a sospensioni, revoche o dinieghi per esportazioni di armamenti verso l’Arabia Saudita posti in atto dal Governo Conte nel 2018. Sono invece riportate nell’allegato del MAECI 11 autorizzazioni per l’Arabia Saudita del valore totale di 13.350.266 euro e nell’allegato dell’Agenzia delle Dogane (MEF) 816 esportazioni effettuate nel 2018 per un valore di 108.700.337 euro.
Tra queste si evidenziano tre forniture del valore complessivo di 42.139.824 euro che sono attribuibili alle bombe aeree della classe MK80 prodotte dalla RWM Italia che risalgono ad una autorizzazione rilasciata nel 2016 dal governo Renzi per la fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di oltre 411 milioni di euro. Si tratta delle micidiali bombe aeree della serie MK prodotte a Domusnovas in Sardegna dall’azienda tedesca RWM Italia, azienda che ha la sua sede legale a Ghedi (Brescia), che vengono impiegate dall’aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Un rapporto dell’Onu del gennaio del 2017 ha documentato l’utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen e un secondo rapporto redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire “crimini di guerra”. Ricordiamo inoltre che Rete Disarmo insieme a Mwatana ed ECCHR ha denunciato alla Magistratura l’illegalità di tali forniture in quanto bombe italiane sono sicuramente state utilizzate anche in operazioni di attacco a civili risultanti in morti di uomini, donne, bambini.
Nonostante diverse risoluzioni del Parlamento Europeo (si veda la Risoluzione del 13 settembre 2017 sull’esportazione di armi e la Risoluzione del 4 ottobre 2018 sulla situazione nello Yemen) abbiano chiesto agli Stati membri di porre un embargo sulle forniture militari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario, a differenza di altri paesi europei, il governo italiano non ha posto in atto alcuna sospensione ed anzi ha continuato a fornire armamenti e munizionamento militare all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti a cui, nel 2018, sono state autorizzate esportazioni militari per oltre 220 milioni di euro. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018 ha affermato che «Il governo italiano è contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze». Nella Relazione non risulta alcuna iniziativa intrapresa dal Governo italiano in questo senso. Al contrario, per promuovere nuovi ordinativi militari con i paesi del Golfo Persico, la Difesa italiana ha promosso la “campagna navale” della fregata FREMM Carlo Margottini: salpata lo scorso 17 gennaio dal porto della Spezia, la fregata Margottini ha partecipato al “Naval Defence Exhibition” (NAVDEX 2019) di Abu Dhabi per promuovere le attività dell’industria militare italiana e successivamente ha fatto scalo a Kuwait City (Kuwait), a Damman (Arabia Saudita) e a Muscat (Oman), ritornando a Gedda (Arabia Saudita) alla fine di aprile 2019.
Nel 2018 sono invece state autorizzate per l’Egitto 6 esportazioni di sistemi militari del valore di 69.131.310 euro che fanno del Paese del generale Al-Sisi il terzo acquirente di armamenti italiani tra gli Stati non appartenenti all’UE o alla Nato. Sono inoltre state svolte, anche sulla base di licenze rilasciate negli anni scorsi, 61 esportazioni di sistemi militari del valore complessivo di 31.400.207 euro. Dalla Relazione non è possibile conoscere gli specifici modelli degli armamenti esportati, ma è documentata l’autorizzazione per l’esportazione nel 2018 di “armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm.”, di “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”, di “apparecchiature per la direzione del tiro”, di “apparecchiature elettroniche” e di “software”.
In proposito va ricordato che il 21 agosto 2013, il Consiglio degli Affari esteri dell’UE ha annunciato che gli Stati membri avevano deciso di “sospendere le licenze di esportazione all’Egitto di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”, di rivalutare le licenze di esportazione per attrezzature militari e di rivedere la loro assistenza per la sicurezza in Egitto. Nonostante il Consiglio non abbia emesso un regolamento in grado di rendere la decisione giuridicamente vincolante, queste misure rappresentano un impegno politico che non è mai stato revocato da parte del Consiglio degli Affari esteri.
Operazioni bancarie di appoggio all’export di armamenti.
Dalla Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) nel 2018 risultano transazioni bancarie attinenti ad operazioni di esportazione di armamenti per un valore complessivo di 4.855.463.428 euro di “importi segnalati” e di 3.213.552.154 per “importi accessori segnalati”. Nella Relazione non è spiegata la differenza concettuale e pratica tra questi due importi. La Relazione, inoltre, segnala in modo generico operazioni di “Intermediazioni per Aziende” per “vendita/incasso” per un valore complessivo di 973.091.454 euro di cui 968.266.061 euro da attribuirsi al gruppo Leonardo (ex Finmeccanica).
Le maggiori operazioni per esportazioni di sistemi militari sono state svolte da tre gruppi bancari: UniCredit che riporta “importi segnalati” per 1.345.377.931 euro a cui vanno aggiunti gli “importi segnalati” da UniCredit Factoring del valore di 568.327.577 euro; Deutsche Bank che riporta “importi segnalati” per 643.359.977 euro e Intesa Sanpaolo che riporta “importi segnalati” per 550.000.173 euro. Una nota della Relazione del MEF segnala che «l’importo complessivo attribuito ad Intesa Sanpaolo ed UniCredit ricomprende anche transazioni dove la stessa banca è intervenuta come banca agente con funzioni amministrative per conto di un pool di istituti bancari».
Va segnalato, infine, il permanere nell’elenco di Banca Valsabbina che riporta “importi segnalati” per 86.085.292 euro e “importi accessori segnalati” per 7.840.232 euro. Una rilevante operazione da 25.016.328 di “importi segnalati” è riconducibile alla fornitura di bombe 19.675 aeree della classe MK 80 da parte di RWM Italia all’Arabia Saudita. Banca Valsabbina risulta pertanto anche nel 2018 la banca d’appoggio per l’esportazione da parte di RWM Italia all’Arabia Saudita.
Necessità di conformare le decisioni su export militare ai principi delle norme nazionali ed internazionali e richiesta di un dibattito parlamentare.
La Rete Italiana per il Disarmo come già fatto negli anni passati rinnova anche al Governo Conte l’invito a migliorare gli standard di trasparenza sui dati relativi all’export militare poiché la modalità attuale di pubblicazione impedisce che Parlamento ed opinione pubblica possano esercitare un concreto controllo su un ambito così delicato. L’esportazione di materiali di armamento non ha solo aspetti economici o tecnologici, ma impatta direttamente sui conflitti e la sicurezza internazionale e la stessa legge (oltre che le norme internazionali cui l’Italia ha aderito) ne sottolinea la valenza fondamentale per politica estera e sopratutto per il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario.
Rete Italiana per il Disarmo rinnova dunque il proprio invito a conformare le decisioni sulle autorizzazioni all’export ai principi e alle prescrizioni delle norme italiane ed internazionali, e sollecita il Parlamento ad intraprendere un approfondito dibattito sulla questione e sugli ultimi dati trasmessi dal Governo.