Il Bacino del Congo è uno dei più grandi fornitori di legno al mondo. Una risorsa sulla quale si stanno buttando un po’ tutte le grandi potenze mondiali, come in un rito perverso che vede l’Africa “derubata” delle ricchezze a vantaggio di pochi che di scrupoli, per accaparrarsele, non ne hanno proprio, ma anche con la complicità di Stati, cioè di dittatori, che pensano più al proprio bene – ricchezza – che a quello dei loro Paesi.
Il Gabon e la Repubblica del Congo rappresentano circa il 60% dell’area del Bacino del Congo, destinata al disboscamento ed esportano circa l’80% di tutto il legname prodotto nel continente africano. L’Europa ci ha provato. La Commissione Europea, infatti, si è assunta l’impegno di ridurre la deforestazione tropicale del 50% entro il 2020 rispetto ai livelli di cinque anni fa. Un mercato stimato in 190 miliardi di euro all’anno. Un’enorme fonte di ricchezza, ma anche di corruzione.
Per l’Italia questo è un problema serio. Il nostro paese, infatti, è il maggior importatore di prodotti EUTR e si colloca al terzo posto dietro Regno Unito (volume d’affari pari a 5679 milioni) e Germania (3987 milioni). Il volume d’affari dell’Italia è pari a 2686 milioni, che rappresenta l’11,5% del totale delle importazioni extra-Ue. E, per questo, è particolarmente attenta alla “Due diligence”. Ma da dove arriva il legno che l’Ue importa?
La Cina è il primo fornitore (5025 milioni di euro), poi vengono gli USA (3910 milioni), il Brasile (2654 milioni), e la Russia (2247 milioni). Ma questi paesi da dove prendono il legno che esportano in Europa? Tranne il Brasile, gli altri paesi molto del legno lo prendono proprio nel Bacino del Congo. Il Brasile, tuttavia, si sta sempre più interessando ai mercati africani. Ed qui che casca l’asino. O meglio: le aziende che tagliano il legno di questi paesi, facilmente riescono ad aggirare le regole imposte dalla Ue e anche dai paesi produttori. Le aziende italiane che operano nel settore in Gabon e nella Repubblica del Congo, no, molto difficilmente.
Aziende, queste ultime, costrette a combattere con una concorrenza spietata oltre che truffaldina. Oltre a non rispettare le regole dell’Eutr, la Cina, per esempio, taglia in maniera indiscriminata e, soprattutto, importa legno grezzo, non i semilavorati come vorrebbero le regole. Tutto ciò oltre a distruggere milioni di ettari di foreste, non porta alcun beneficio alla popolazione, perché viene saltato un passaggio fondamentale, quello che crea lavoro, perché i semilavorati li devi fare nei Paesi produttori.
Un recente rapporto dalla ong ambientalista britannica Envirnmental Investigation Agency (Eia) – Toxic Trade: Forest Crime in Gabon and the Repubblic of Congo and the Contamination of Us Market – ha evidenziato come il legname africano tagliato illegalmente venga trasformato in prodotti che vengono venduti come “eco-friendly” negli Stati Uniti. Durante l’indagine sotto copertura, durata quattro anni, l’Eia ha scoperto il funzionamento di uno dei conglomerati di legname più influenti del continente africano: il Dejia Group, controllato dal magnate cinese Xu Gong De.
Il gruppo cinese è riuscito ad ottenere condizioni di favore per poter sovra-sfruttare le concessioni, esportando tronchi, legno grezzo, per un valore di 80 milioni di dollari in violazione della legge nazionale in un periodo di quattro anni e avrebbe eluso le tasse per diversi milioni di dollari in ogni anno di attività.
Quei tronchi, poi, potrebbero essere finiti anche in Europa, attraverso i semi lavorati, visto che la Cina è il maggior fornitore di legno dell’Europa. Dejia Group, sempre secondo il rapporto, avrebbe esportato i suoi prodotti anche in paesi dove l’importazione di legname illegale è un crimine: tra cui Francia, Belgio, Italia, Spagna e Grecia.
La Eia ha scoperto questo scenario dopo anni di indagini sotto copertura, ma non è un mistero che le aziende italiane, in Gabon e Repubblica del Congo, hanno dovuto lottare con questa concorrenza spietata e sleale.
Lisa Handy, direttrice della Forest Campaign di Eia, ha spiegato che il Gabon ha iniziato, recentemente, a “perseguire gli attori illegali, ma resta ancora molto da fare. Esortiamo anche la Repubblica del Congo a perseguire le aziende responsabili. E a entrambi i paesi chiediamo di affrontare la corruzione endemica che mina lo sviluppo dell’industria nazionale e consente la distruzione sfrenata delle loro foreste”.
Basta sorvolare il Bacino del Congo per rendersi conto della distruzione in atto. Non è mistero, inoltre, che il porto di Pointe Noire, nella Repubblica del Congo, sia pieno di tronchi pronti per essere portati in Cina. Entrambe le cose le abbiamo viste con i nostri occhi. Per quello che può contare.