L’Istituto Ferruccio Parri di Milano custodisce i documenti dei 4.500 volontari -donne e uomini- che lottarono contro la dittatura franchista. Oggi, grazie a un progetto in Rete, tutti possono conoscere (e arricchire) le loro biografie.
La storia di Giuseppe Cogo, morto nel settembre 1938 a soli 27 anni sul fiume Ebro, è conservata in un faldone di colore azzurro che fa parte della serie “Effetti personali dei combattenti”. Si trova nell’archivio dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, costituito dallo statista nel 1949 per conservare il patrimonio archivistico del movimento partigiano. Dalle carpette di cartoncino azzurro, Andrea Torre, storico e archivista, estrae con attenzione un taccuino sottile, dalla copertina rossa, solo parzialmente leggibile a causa del foro lasciato da un proiettile. “Dopo ogni battaglia, ciascuna fazione recuperava i propri caduti e si raccoglievano gli oggetti personali: portafogli, taccuini, lettere, fotografie”, spiega Torre, che ha dovuto sfogliare le pagine di quel taccuino lacerato alla ricerca di informazioni utili. “Ancora oggi è molto emozionante entrare in contatto con questi oggetti”.
La storia di Giuseppe Cogo e di altre migliaia di italiani che partirono volontari per combattere la guerra civile spagnola rivive oggi in rete grazie al lavoro di una decina di ricercatori, che hanno dato vita alla banca dati online “Oggi in Spagna, domani in Italia”. Il progetto, nato dalla collaborazione tra Istituto Parri e Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna (AICVAS) -che ha versato il proprio archivio storico all’Istituto-, è stato finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito delle iniziative per il 70° anniversario della Resistenza e della guerra di liberazione.
Obiettivo del progetto è creare una piattaforma digitale condivisa, implementabile nel corso del tempo e facile da usare, pensata come strumento di divulgazione per raccontare a un pubblico più ampio possibile le storie dei circa 4.500 volontari antifascisti italiani che tra il luglio 1936 e il marzo 1939 combatterono contro i franchisti e i loro alleati dell’Asse Roma-Berlino. “Ma per fare questo lavoro abbiamo dovuto, innanzitutto, rispondere a due domande: cosa vuol dire essere italiani e cosa vuol dire essere combattenti”.
Per farlo, i ricercatori hanno seguito gli stessi criteri adottati dall’AICVAS, associazione nata a Parigi nel 1937 per assistere i feriti della guerra di Spagna e i loro familiari: questa ha infatti sostenuto nel tempo tanto le famiglie di combattenti emigrati (dalla Francia agli Stati Uniti, dall’Urss all’Australia) quanto coloro che ottennero la cittadinanza italiana dopo il 1919. “Circa il 10% dei combattenti italiani antifascisti di Spagna viene da Istria e Dalmazia: erano una componente importante -spiega Torre-. La loro presenza in quel conflitto è una reazione alle politiche di italianizzazione forzata e violenta che venne messa in atto lungo il confine orientale ai danni delle popolazioni slave”.
Altra scelta fatta dall’AICVAS, fu quella di considerare combattente quanti, volontari in armi o meno, sostennero la Repubblica spagnola. E così nel database troviamo i nomi e le storie di circa cento donne. Personaggi complessi e diversissimi tra loro, rappresentanti di ogni ceto sociale: dalla giovane operaia anarchica Emilia Buonacosa -che a soli 18 anni era segnalata dalla polizia come “sovversiva pericolosa”- a Maria Olandese, moglie di un avvocato napoletano, che si recò in Spagna con il marito e i tre figli e operò come crocerossina a Barcellona. Dalla contessa Cristina Casati Stampa di Soncino, tesoriera del “Soccorso medico inglese”, a Emma Sola: insegnante, traduttrice e comunista, raggiunse il grado di Tenente nell’aviazione. “È limitativo pensare al contributo italiano alla guerra civile spagnola come evento da declinare esclusivamente al maschile -spiega Torre-. Sulla componente femminile è più difficile lavorare perché spesso la loro storia è affidata a pochi fogli inseriti dentro il fascicolo del compagno o del marito”. Riportare alla luce queste storie, rimaste a lungo nell’ombra, è uno degli obiettivi di questo lavoro di ricerca.
“È limitativo pensare al contributo italiano alla guerra civile spagnola come evento da declinare solo al maschile. Sulle donne è più difficile lavorare perché la loro storia è affidata a pochi fogli nel fascicolo del compagno” – Andrea Torre
“Le biografie dei combattenti sono estremamente variegate. Accanto a volontari giovanissimi ci sono una ventina di uomini nati negli anni Settanta dell’Ottocento che arrivano sui campi di battaglia a più di sessant’anni -continua Andrea Torre-. Questo fa capire la forza e la pervasività di quello che era successo negli anni Venti: una reazione alle violenze squadristiche che ha portato molte persone, di differenti tendenze politiche, a partire per la Spagna non appena è stato possibile combattere contro il fascismo”.
Nel conto dei combattenti italiani ci sono anche molti emigrati (in Francia soprattutto) e apolidi: “La repressione fascista non era solo violenza, ma anche emarginazione economica: chi era apertamente contro il regime non poteva lavorare. Inoltre dal 1928 molti vennero resi apolidi”, spiega lo storico. In una prima fase di lavoro si è scelto di approfondire le biografie dei circa 300 volontari che, dopo la fine della guerra di Spagna ripresero le armi per partecipare alla Resistenza in Italia. Non a caso, il progetto richiama esplicitamente all’esortazione “Oggi in Spagna, domani in Italia”, pronunciata da Carlo Rosselli a Radio Barcellona nel novembre 1936, per promuovere il sostegno alla causa anti-franchista.
“I superstiti della ritirada, circa 250mila persone, arrivano in Francia prevalentemente fra il 5 e il 13 febbraio 1939. Inizialmente vengono rinchiusi in campi d’internamento e successivamente sono inseriti nelle Compagnie des travailleurs étrangeres: svolgevano lavori di supporto per l’esercito”, racconta Torre. Con l’arrivo dei tedeschi e l’instaurazione della Repubblica di Vichy i destini degli ex combattenti italiani prendono le strade più diverse. C’è chi è estradato in Sud America grazie ad accordi bilaterali tra la Francia, il Messico e altre nazioni; chi si arruola nella Legione straniera; tre combattenti raggiungono l’Etiopia per sostenere le truppe locali impegnate nella lotta contro l’occupante fascista. Molti muoiono nei campi di concentramento nazisti, altri chiedono di rientrare in Italia e finiscono per anni al confino.
“Alcuni entrano nella Resistenza francese: furono i primi a prendere le armi contro i tedeschi, in Francia la guerriglia urbana si accese già dal 1941-1942 -spiega Torre-. L’organizzazione dei GAP in Italia avviene più tardi, quando il Partito Comunista richiama in Italia gli ex combattenti. La lotta armata nel nostro Paese avviene non tanto e non solo dall’esperienza spagnola, ma grazie anche all’esperienza della guerriglia urbana in Francia”. È il caso, ad esempio, di Egisto Rubini: dopo aver partecipato alla Resistenza francese quale comandante dei “Franc-tireurs et partisans”, rientra in Italia dopo l’8 settembre 1943, prima come partigiano nella 63ma brigata “Bolero” e successivamente inviato a Milano per organizzare, con altri reduci di Spagna, i primi Gruppi di azione patriottica.
La sede, a Barcellona, dell’incontro organizzato a sostegno del popolo spagnolo e dei combattenti © Fondo Riccardo Formica (Aldo Morandi)
Per ciascuna delle biografie completate è possibile scoprire la vita e le battaglie dei combattenti: con un semplice click si possono consultare fotografie e scansioni di documenti conservati fisicamente negli archivi di mezza Europa e in Russia. “Quello che doveva essere un lavoro meramente compilativo è diventato un lavoro di ricerca supportato da una struttura informatica assai complessa”, aggiunge Torre.
E l’ultima fase di lavoro è stata improntata alla normalizzazione degli antroponimi, “dipanando l’intricata matassa fatta di nomi reali, storpiature create da funzionari di stati esteri e nomi di battaglia”. Un risultato ottenuto “incrociando decine di fonti diverse. Inoltre la banca dati sarà implementabile in futuro, grazie anche al contributo degli utenti -osserva-. È già capitato che ci scrivessero persone che hanno riconosciuto il padre o il nonno nelle fotografie pubblicate”.
L’obiettivo, ora, è quello di continuare a sviluppare il progetto grazie alla collaborazione con altri istituti di ricerca europei. “C’è una forte necessità di riscoprire e valorizzare, sulla base di documenti storici, le biografie di questi uomini e donne che hanno patito decenni di galera o di clandestinità per ideali internazionalisti di libertà: quei valori su cui oggi si fonda l’Unione Europea”, conclude Andrea Torre.