Il 6 e 7 aprile hanno avuto luogo in Toscana due importanti eventi per fare un bilancio storico sui 70 anni dalla formazione della NATO: uno a Livorno, città ove la base americana di Camp Darby rappresenta il più grande arsenale USA fuori dal territorio americano e nel cui porto transitano navi a propulsione nucleare (all’insaputa della maggioranza dei cittadini stessi) e l’altro a Firenze.

 

Il titolo del convegno internazionale tenutosi a Firenze, al quale abbiamo partecipato, esprimeva volutamente una domanda alla quale ciascuno di noi deve potersi dare una risposta analizzando i dati reali, al di fuori dalla retorica delle istituzioni e dei mezzi d’informazione tradizionali: “NATO: cultura di pace o cultura di guerra?”. L’evento è stato organizzato dallo stesso Comitato No Guerra No Nato che ha lanciato una petizione per un’Italia neutrale e l’uscita dalla NATO, nel rispetto della nostra Costituzione. Nel corso del convegno è stata resa nota la “Dichiarazione di Firenze” che vi invitiamo a visionare per intendere a fondo gli scopi che questo evento si proponeva.

 

In occasione del convegno fiorentino abbiamo intervistato Padre Alex Zanotelli, religioso e missionario italiano noto per il suo impegno per la pace e la nonviolenza.

Come può la persona comune contribuire alla diffusione della cultura della nonviolenza?
Dalla mia esperienza in questo periodo in Italia c’è un’atomizzazione della società, voluta dal sistema, che cerca di impedire che le persone si mettano insieme. Se quello della lotta pacifista e nonviolenta non diventa un movimento popolare, non si va da nessuna parte. Abbiamo visto ad esempio adesso in Algeria, quanto è efficace che la gente unita, aldilà delle bandiere , dica “basta”!

 

Per fare questo ci vuole capacità organizzativa, ma la gente deve capire prima tutto ciò che avviene. Ecco che l’informazione diventa importante (1). Purtroppo quello che abbiamo fatto qui oggi non sta passando alla gente. Parliamo in fondo fra esperti e gente impegnata, che è bello ma non è sufficiente. Qui dovrebbero giocare dei grossi ruoli sia le scuole, sia la Chiesa. Purtroppo la Chiesa ancora non passa abbastanza all’azione su questi temi.

 

Se la gente comune cominciasse a capire i problemi legati alla corsa agli armamenti, all’estremo rischio che corriamo ad ospitare armi nucleari sul suolo italiano, ad ospitare le basi NATO, è chiaro che comincerebbe a pensare: “Voglio vivere, non voglio mica morire!”. Per cui scatterebbe un meccanismo di forte preoccupazione per la propria incolumità e allora diventerebbe davvero qualcosa di popolare. Penso che sia questa l’unica strada: informare la popolazione adulta e quella dei più giovani, partendo dalle scuole, per arrivare alla Chiesa e ai media. Chiaro però che non è una strada facile.

 

Nella sua esperienza quali sono stati i movimenti popolari che hanno prodotto dei risultati tangibili?

L’unico grande movimento che ho visto in Italia e che possiamo chiamare veramente popolare è stato quello dell’acqua, che poi ha portato al referendum del 2011. Ancora la politica non accetta il risultato, ma la cosa importante è che il popolo si è espresso eccome perché ha capito l’importanza dell’acqua come bene comune. Prima o poi anche la politica dovrà accettarlo.

 

Ma ci sono tantissime iniziative con cui davvero si può vincere. Ho citato prima il problema delle banche: basterebbe davvero che il popolo italiano comprendesse prima di tutto la situazione: la gravità del nucleare, che cosa rischiamo. Una volta capito questo basterebbe lanciare una seria campagna contro le banche che investono i loro soldi nel nucleare. Secondo me sarebbe un’iniziativa di un’efficacia senza precedenti.

 

Abbiamo visto in mille maniere come una volta che si iniziano a fare queste cose, funzionano! Però non vengono raccontate. Noi l’abbiamo fatto con la campagna “Banche Armate” e con Nigrizia. Ma quelle che meno di tutte accettano di prendervi parte sono le Parrocchie. Sono poche le diocesi in Italia che hanno preso parte alla campagna.

 

Come si spiega questa scarsa partecipazione? Qual è il ruolo della Chiesa nella promozione di una cultura della pace?

Il problema, a livello di Chiesa, è che noi abbiamo fatto una separazione tra culto e vita: è come se quello che raccontiamo in chiesa non avesse nulla a che fare con la vita fuori. Quando noi siamo fuori viviamo l’opposto di quello che ci diciamo in chiesa. Se c’è una cosa che è fondamentale, sia a livello biblico, sia in Dio, che non può che essere un Dio di pace, è che dovrebbe portare i credenti a un impegno in sé per una cultura della nonviolenza, ma non c’è questo passaggio.

 

Quando si vuole fare massa critica per i temi legati al ripudio della guerra, al rispetto della costituzione, alla nonviolenza, una delle possibili criticità è la mancanza di conoscenza dei problemi veri, poiché non vengono neppure raccontati nei mezzi d’informazione di massa tradizionali; per i credenti, che certi temi dovrebbero averli particolarmente a cuore, il problema è essere in grado di passare all’azione, facendo il collegamento tra insegnamenti e vita di tutti i giorni.

 

1. Qui Zanotelli fa riferimento ad un tema che è stato ampiamente trattato durante il convegno: quello del modus operandi dell’informazione mainstream e allude anche alla nuova rete costituita da Pressenza di giornalisti indipendenti e attivisti di cui presto vi parleremo e di cui facciamo parte che invece vuole dare ampio spazio, tra le altre, alle notizie legate al tema delle guerre e degli armamenti per una diffusione della cultura della nonviolenza.

 

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