Era nell’aria, perché lo aveva annunciato Salvini dopo l’ultimo incendio che a San Ferdinando ha causato la morte di Moussa Ba. E, come si sa, ogni desiderio del nuovo uomo della provvidenza è un ordine. Ma l’accelerazione degli ultimi giorni sullo sgombero della baraccopoli lascia quanto meno perplessi, per i modi con cui si sta attuando e, soprattutto, sulle “alternative” messe in campo.
Ci lascia delusi l’atteggiamento del sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi, firmatario dell’ordinanza di sgombero datata 26 febbraio. Proprio quella mattina ci eravamo incontrati per capire la possibilità di un cambio di passo rispetto alla condizione di segregazione dei braccianti e il sostegno di percorsi per l’inserimento abitativo diffuso. In quell’incontro, cordiale e teso al reale superamento delle problematiche dei braccianti e del territorio più in generale, nulla era trapelato rispetto all’ordinanza in arrivo. Evidentemente troppe e troppo forti sono poi state le pressioni per arrivare a un atto del genere.
Sicuramente in prima linea nel pressing c’è il prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, che non si è nemmeno degnato di dare un cenno di risposta alla nostra richiesta di incontro urgente inviata via pec il 20 febbraio. D’altronde, perché convocare un sindacato che sicuramente non avrebbe mai avallato l’opzione di questo tipo? Rappresenterebbe solo una perdita di tempo, molto meglio continuare il dialogo con i sindacati più accondiscendenti.
Quella che si sta mettendo in piedi è un’operazione inutile, nella scia della logica che sta dietro al decreto sicurezza. Vale a dire: non affrontare i problemi, non risolverli, semplicemente spostarli, nello spazio e nel tempo. Si fa passare il messaggio che finalmente, grazie all’uomo della provvidenza in campagna elettorale permanente (eletto peraltro in Calabria), alla baraccopoli arrivano le ruspe, proprio mentre si allestiscono tende dall’altro lato della strada. Quanto ci vorrà per il riformarsi del ghetto?
Quanto può durare inoltre il trasferimento “volontario” nei vari centri d’accoglienza, considerando che diverse persone trasferite nei giorni scorsi hanno già fatto rientro nella baraccopoli?
Quanto un’azione che priva i braccianti della loro dignità, può riuscire a tenerli lontani dai campi in cui lavorano?
La soluzione a questo problema per noi rimane sempre la stessa, ed è quella condivisa da noi e dalle realtà riunite nel Comitato per il riutilizzo delle case vuote nella Piana di Gioia Tauro: l’inserimento abitativo diffuso. A questa accelerazione scellerata non può che corrispondere maggiore vigore nell’inseguire questo obiettivo.
La casa è l’indicazione che i braccianti che fanno riferimento al Coordinamento lavoratori agricoli USB hanno dato come priorità e su questa continueremo la nostra azione. Nel frattempo saremo pronti a sostenere le azioni a difesa della dignità che gli abitanti della tendopoli decideranno di intraprendere.
Unione Sindacale di Base Coordinamento Lavoro Agricolo
Unione Sindacale di Base Federazione Calabria