A fine febbraio, Michel Forst, special rapporteur delle Nazioni Unite, ha presentato il suo rapporto annuale durante il Consiglio Onu sui diritti umani che si sta svolgendo a Ginevra. “Le attiviste diventano un bersaglio sia per quello che fanno, sia per la loro identità di genere”, la denuncia del rappresentante per gli Human rights defenders.
Le donne e le ragazze che si battono per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente hanno dovuto affrontare una crescente repressione e violenza in tutto il mondo. E nell’attuale clima politico “sono spesso le prime a subire un attacco”, denuncia Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani (Human rights defenders – HRD) che giovedì 28 febbraio ha presentato il suo rapporto annuale durante il Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani che si sta svolgendo a Ginevra. “È particolarmente grave il fatto che questa ostilità non vengano solo dalle autorità Statali, ma anche dai media, dalla società, dalle loro comunità e persino dalle loro famiglie”, denuncia Forst.
Il documento si basa sulle informazioni raccolte da Forst nel corso dei molti incontri avuti con attiviste da tutto il mondo dall’inizio del suo mandato (nel 2014) e sulle 181 “comunicazioni” (documenti ufficiali che lo special rapporteur invia ai Paesi accusati di compiere gravi violazioni ai danni dei difensori dei diritti umani) inviate a 60 Stati tra il luglio 2014 e l’ottobre 2018 che riguardano specificatamente vicende di attiviste.
“Vorrei iniziare con un pensiero a tutte le donne che, come Berta Cáceres, sono state uccise per aver sfidato i potenti e messo in discussione le loro idee sulle donne e su come dovrebbero comportarsi”, ha esordito Forst in apertura della sua relazione. Sottolineando in più passaggi come le donne finiscano sotto attacco sia a causa della loro attività, sia a causa della loro identità di genere. Come avviene per gli uomini, le donne impegnate nella difesa dei diritti umani sono esposte al rischio di subire aggressioni, intimidazioni, arresti e detenzioni arbitrarie, vengono fatte oggetto di campagne diffamatorie anche online, sono bersaglio di rapimenti, tentativi di omicidio e omicidio. Ma la componente femminile degli human rights defenders deve far fronte anche a specifici rischi, minacce e campagne diffamatorie: vengono bollate, ad esempio, come “cattive madri” oppure “streghe”. La loro sessualità, l’orientamento sessuale e persino lo stato coniugale vengono utilizzate per gettare discredito sul loro lavoro. “Gli attacchi all’onore e alla reputazione delle donne, la pubblicazione dei loro dati personali su internet (compresa la pubblicazione di falsi video pornografici, ndr), la violenza sessuale e gli attacchi contro i loro figli sono usati per metterle a tacere”, spiega Michel Forst.
Di fronte a questa varietà di attacchi, le donne spesso faticano a difendersi e a ottenere giustizia. Nell’aprile 2018 la giornalista indiana Rana Ayyub ha subito una violenta campagna d’odio condotta online. È stata minacciata di morte e di stupro, è stata insultata in quando donna e musulmana ed è stato diffuso un video pornografico manipolato che mostrava il suo volto. “Le sue denunce alla polizia non sono state prese sul serio -denuncia il report- e i suoi molestatori non sono ancora stati portati davanti alla giustizia”.
Quando poi all’attività per la difesa dei diritti umani e al genere si sommano altre “specificità” (status di richiedente asilo, il fatto di avere alle spalle un’esperienza migratoria, l’appartenenza a una minoranza o a un gruppo indigeno), i rischi e le vulnerabilità aumentano ulteriormente. In Bahrain, denuncia il report, alcune attiviste temono la sospensione del permesso di lavoro o il rigetto della loro domanda d’asilo a causa del loro impegno. Ana Quirós, direttrice dell’Ong “Centro de Informacion y servicios de Asesoria en salud” si è vista revocare la cittadinanza nicaraguense dopo 20 anni ed è stata deportata in Costa Rica.
A preoccupare i rappresentati delle Nazioni Unite sono anche l’aumento dei discorsi d’odio da parte di esponenti politici e il numero crescente di Stati che stanno restringendo gli spazi d’azione della società civile, ad esempio imponendo requisiti legali o amministrativi che limitano il diritto alla libertà di opinione, di espressione e di associazione.
In alcuni paesi, denuncia il report, le attiviste sono state oggetto di minacce e arresti per essersi impegnate in campagne a supporto dei diritti di genere, ad esempio quello alla salute riproduttiva e sessuale. O semplicemente per aver chiesto il rispetto dei diritti delle donne come è successo alle attiviste saudite Samar Badawi, Nassima al-Sadah, impegnate nella battaglia per liberare le donne saudite dal sistema della guardiania, che impone alle donne di avere il benestare di un parente maschio (solitamente il padre, il marito o un fratello) per poter svolgere alcune attività. Le due donne sono state arrestate il 30 luglio 2018 dai servizi di sicurezza assieme a Amal al-Harbi, una giovane donna che chiede la liberazione del marito, anche lui attivista per i diritti umani, sulla scia di una repressione del governo contro personalità pubbliche e altri attivisti per i diritti umani iniziata nel settembre 2017”.
Mentre un ulteriore campanello d’allarme viene dal crescente utilizzo del concetto di “ideologia gender” che, in varie parti del mondo, specialmente in America Latina e nell’Europa dell’Est, viene presentato come un tentativo delle femministe e dei difensori dei diritti LGBT di destabilizzare l’ordine sociale e politico. “Non ci sono scorciatoie per risolvere questa situazione -conclude Forst-. Dobbiamo smantellare questi dannosi stereotipi di genere e re-immaginare radicalmente le costruzioni sociali di genere per prevenire la dominazione e l’emarginazione delle donne”.