Dire “aiutiamoli a casa loro” per qualcuno è un escamotage. Per loro è la quotidianità.
Le Ong vanno nei luoghi dove non va nessuno. Luoghi remoti, oppure metropoli africane stracolme di povertà, di gente che ha come orizzonte, quando va bene, solo la sera.
Trovare cibo per sfamare i figli quel giorno, se gli va bene. Domani si vedrà. Luoghi dove curarsi è un’impresa quasi impossibile, trovare cure adeguate è un miraggio, a meno che tu non abbia i soldi, denaro per pagare anche la più banale siringa o la garza di cui hai bisogno.
Se non hai il denaro niente siringa, niente garza.
Luoghi remoti dove l’istruzione è un privilegio per pochi, quei pochi che hanno il denaro per pagare la retta, la divisa scolastica, le scarpe che in tutte le scuole d’Africa è necessario portare se si vuole accedere alle strutture scolastiche.
Le Ong vanno in questi luoghi remoti, entrando nelle pieghe di un’umanità che non ha nulla, senza nessuna retorica dell’aiutiamoli a casa loro, ma solo con l’intento di aiutare questa umanità a sperare in un futuro migliore per sé, per i loro figli, per il loro paese.
Le Ong vanno dove l’umanità è più dolente. Uomini e donne, volontari, professionisti che dedicano parte del loro tempo per questa umanità o hanno fatto del volontariato una professione umanitaria.
In ogni angolo, in ogni baracca
In ogni angolo dell’Africa trovi una Ong italiana. La trovi nelle baraccopoli di Nairobi dove sono assiepate, in mezzo a fogne a cielo aperto e in baracche fatiscenti, più di 2 milioni di persone.
I volontari battono palmo a palmo quei vicoli putrescenti per dare speranza a qualcuno e per strappare dalla strada bambini e bambine abbandonati dalle loro famiglie, semmai ne hanno avuto una, instupiditi dalla colla che sniffano e lasciati a loro stessi da uno Stato che di loro non si cura.
In quei luoghi l’unica speranza sono le Ong e i loro volontari. Le Ong le trovi in mezzo alla foresta della ricchissima Repubblica democratica del Congo, a riabilitare ospedali e dispensari.
Li trovi a Bukavu per strappare dalla morte certa bambini e bambine che la società ancestrale di quei luoghi considera streghe e stregoni, posseduti dal male. Li considera i responsabili della morte di un familiare o di un vicino. Bambini e bambine destinati alla “purificazione”, vittime delle cosiddette “Camere di preghiera”, che non sono altro che luoghi di tortura, dove i bambini vengono costretti a digiuni di giorni o a ingoiare pesce crudo per vomitare il demonio, che nei loro corpi non c’è, ma si pensa ci sia.
Ed è in questi luoghi che mi è capitato di assistere alla lapidazione di un bambino perché si riteneva essere la fonte del male che aleggiava nel villaggio. Oppure di salvare dal rogo una bambina considerata la responsabile, perché strega, della morte della madre. Aveva già i copertoni intorno al corpo pronti per essere incendiati. Solo un miracolo e la presenza dei volontari di una Ong hanno potuto salvarla e portarla in una struttura protetta dove ora vive e studia, rincorrendo i sogni che può avere qualsiasi bambino del mondo.
I marciapiedi delle bambine senza speranza
Le Ong le trovi nelle strade di Grand Bassam, antica capitale coloniale della Costa d’Avorio. Volontari che cercano, giorno dopo giorno, di togliere dalla strada bambine minorenni destinate al “sesso di sopravvivenza”. Minorenni che non hanno alcun orizzonte se non quello di soddisfare qualche uomo per pochi centesimi di euro, senza alcuna prospettiva per il futuro. I volontari lungo quelle strade cercano di dare una speranza, di togliere da un destino segnato decine di minorenni. In molte si sono già affrancate dal “sesso di sopravvivenza”, hanno trovato la loro strada. C’è chi ha ripreso ad andare a scuola, chi ha iniziato una propria attività di sartoria.
Le Ong sono là dove i minori finiscono nelle mani della giustizia perché non hanno altra chance nella vita se non rubare per sopravvivere, come in Mauritania, un paese dove ancora oggi viene praticata la schiavitù.
Una storia raccontata dall’Africa
Le Ong le trovi negli ospedali della savana più profonda o nel deserto somalo. Professionisti che curano, che portano tecnologie che nessuno si potrebbe permettere.
Le Ong le trovi nelle savane keniane a pochi chilometri dalle spiagge dorate dei turisti di Malindi. Sono lì per rincorrere un loro sogno e per dare istruzione a gente che non ha nulla a pochi chilometri dall’opulenza e dalla ricchezza che schiaffeggiano la povertà.
Vanno in quei luoghi dove nessuno oserebbe andare, ai margini della società. Spesso luoghi pericolosi, spesso a scapito della propria vita o incolumità, come è capitato a Silvia Romano, ancora nelle mani dei suoi rapitori.
Le Ong non sono il luogo di raccolta di eroi senza tempo che rincorrono avventure improbabili. Sono uomini e donne che hanno a cuore il loro destino e che sanno che un mondo migliore non potrà esserci per nessuno finché ci saranno bambini e bambine che non possono sognare, finché ci saranno uomini e donne che non sanno come arrivare a sera, a procurare un pasto al giorno per i loro figli, finché ci saranno anziani derubati della loro dignità.
In Italia sono decine le Ong, le onlus, le società di missionari che si prendono cura del continente africano, tutti i giorni e in maniera instancabile.
Di loro, spesso, si parla solo quando accade una tragedia, come l’aereo precipitato in Etiopia. Oppure quando una giovane donna viene rapita in Kenya, o quando salvano migliaia di migranti nel Mediterraneo.
L’Africa, tuttavia, racconta un’altra storia.