Il 15 marzo del 2019 si è aperto con la notizia proveniente da Christchurch, in Nuova Zelanda, nella quale un gruppo neonazista armato ha fatto irruzione in due moschee della città durante la preghiera del venerdì, uccidendo freddamente 49 persone. E’ una strage che ha una dimensione globale, non solo nelle dimensioni, ma per i punti di riferimento espliciti rilasciati sui social da Breton Tarrant, capo del commando: da Luca Traini, il fascio-leghista italiano della tentata strage di Macerata del 2018, ad Alexandre Bissonnette, il nazista canadese che fece una strage in un centro islamico di Quebec City nel 2017.
Ma tra tutti, l’ispiratore principale dei terroristi è indicato in Anders Breivik, il nazista norvegese che il 22 luglio del 2011 uccise 77 ragazzi sull’isola di Utoya irrompendo nel campo estivo dei giovani socialisti norvegesi, colpevoli di voler promuovere una società aperta ed interculturale. Quello di Christchurch è l’ultimo atto di una internazionale fascista del terrore – alimentata dal clima di odio e paura promosso in tutto il mondo da imprenditori del terrore, al governo anche in Italia – che vuole far precipitare l’umanità nella barbarie.
Ma come scriveva il poeta Friedrich Holderlin, nel verso ripreso spesso dai filosofi, “dove maggiore è il pericolo cresce anche ciò che salva”: poche ore dopo in tutto il pianeta sono scesi in piazza decine di milioni di studenti – da Oriente ad Occidente, da Nord a Sud – in sciopero contro i cambiamenti climatici, per prendersi cura della nostra Casa comune. E’ una grande risposta globale dei giovani al deterioramento del clima, non solo meteorologico. Questo nuovo movimento internazionale degli studenti è naturalmente interculturale, inclusivo, supera tutte le differenze nella lotta comune in difesa della Madre Terra. Questi giovani sentono, ancora prima di sapere, che non è possibile un approccio ecologico alla realtà, senza un’ecologia del pensiero che liberi anche dalle scorie dell’odio, della paura, del razzismo che ammorbano l’aria che respiriamo tanto quanto i gas che generano il riscaldamento climatico. E’ la risposta gentile e nonviolenta dell’antibarbarie.
Adesso, dopo la straordinaria giornata del 15 marzo, questo movimento ha la responsabilità di avere più lungimiranza dei movimenti precedenti per il cambiamento. Possibilmente senza farne gli errori. C’è stata, nel passato recente, un’altra giornata di mobilitazione globale: era il 15 febbraio del 2003, quando è stato calcolato che cento milioni di persone scesero in piazza, in tutte le capitali del mondo, per cercare di fermare la più folle e duratura delle guerre, l’attacco degli USA e dei suoi alleati all’Iraq. Ma i motori dei cacciabombardieri erano già accesi e quel movimento, bello ma improvvisato – che, per le sue dimensioni, fu definito dal New York Time la nuova “superpotenza mondiale” – non poté fermare quella guerra, né le sue conseguenze, che ancora subiamo. A causa della delusione, progressivamente, le piazze per un decennio si svuotarono di pacifisti.
E’ necessario sapere, dunque, che questa lotta per un futuro ecologico e pacifico è di lungo periodo, necessita di capacità di mobilitazione, ma anche di studio e ricerca, di attivismo, ma anche di organizzazione politica: non ci sono scorciatoie, né facili vittorie. Un importante talismano da tenere presente sono le parole di Mohandas Gandhi, che di lotte se ne intendeva: “I movimenti nonviolenti per il cambiamento passano per la prova di cinque tappe: l’indifferenza, il ridicolo, la calunnia, la repressione, il rispetto”. Già si vedono i primi segnali di ridicolizzazione e calunnia, ma solo attraversandole tutte – con visione, coraggio e tenacia – la barbarie potrà essere sconfitta dall’antibarbarie.