Prosegue in Senato il “cammino” del provvedimento che dovrebbe istituire in Italia quello strumento di sostegno ai poveri pomposamente e illegittimamente chiamato Reddito di Cittadinanza.
Si tratta, in effetti, come oramai chiaro, di un banale “assegno di povertà”, ricco, ma estremamente condizionato e limitato. I parlamentari di Destra, tuttavia, ma, non contenti, provano a rendere la strada per beneficiarne ancora più “in salita”.
A giudicare dagli emendamenti proposti, il punto nevralgico del provvedimento è l’art. 2, ovvero quello che individua i beneficiari. Su tale articolo, infatti, sono stati presentati ben 578 proposte di modifica. Alcune chiaramente strumentali a far solo perdere tempo e già bocciate.
Alcune sono interessanti, almeno per valutare le persone e i partiti che le sostengono.
Gli emendamenti contro “lo straniero”
Ad esempio, i senatori veneti Stefano Bertacco e Luca Ciriani (Fratelli d’Italia) si sono fatti promotori dell’emendamento 2.1 che esclude qualsiasi straniero dal beneficio. La loro proposta è semplice: il Reddito di Cittadinanza va assegnato esclusivamente a chi sia «in possesso della cittadinanza italiana e residente in Italia».
Proposta decisamente in contrasto con diverse sentenze per palese violazione dell’art. 117 della nostra Carta Costituzionale.
Più contorta la proposta del senatore e avvocato modenese Enrico Aimi (Forza Italia). Con l’emendamento 2.18 propone di elevare a «20 anni» la residenza in Italia prima di poter accedere al beneficio; con l’emendamento 2.321 lo condiziona alla produzione, da parte dello straniero extracomunitario, di una costosa e improbabile certificazione «corredata da traduzione giurata, attestante il mancato possesso di beni immobili nel Paese di origine».
Una proposta che ricalca quella dell’oramai famoso Comune di Lodi che impediva ai bambini stranieri di accedere alla mensa dell’asilo. Proposta discriminatoria criticata da numerose associazioni di tutela dei Diritti e alla fine bocciata dallo stesso Tribunale di Milano.
Posizione decisamente opposta quella del senatore e insegnante modenese Edoardo Patriarca (PD) che in Commissione è intervenuto «paventando l’illegittimità costituzionale della norma del decreto-legge» che impone dieci anni di residenza in Italia per beneficiare del Reddito di Cittadinanza. Il senatore ha quindi sostenuto l’emendamento 2.118 di cui è primo firmatario il collega torinese Mauro Laus (PD). L’emendamento che riduceva a «5 anni» il tetto minimo di residenza è stato però respinto dalla Commissione.
Stessa posizione era stata espressa dal senatore e docente universitario milanese Francesco Laforgia (Liberi e Uguali) col proprio emendamento 2.11 sostenendo che la norma scritta dal governo fosse invece «in palese contrasto con numerose sentenze della Corte costituzionale, che impongono il rispetto del principio universale dell’uguaglianza dei cittadini». Anche tale emendamento, però, è stato respinto.
Altri emendamenti di cui si discute
Il senatore e avvocato ferrarese Alberto Balboni (Fratelli d’Italia) propone, invece, con l’emendamento 2.526 prone una “scomunica a vita” dal Reddito di Cittadinanza per coloro che abbiamo ricevuto, o patteggiato, condanne definitive pari ad almeno «due anni di reclusione per un delitto non colposo» (il testo attuale esclude i detenuti).
La Lega è contraria a che il beneficio sia riconosciuto fino alla fuoriuscita dalla povertà del beneficio e pertanto pone un limite alla sua durata. «Il Rdc può essere rinnovato una sola volta per un periodo pari alla prima erogazione», propone, con l’emendamento 3.305, il senatore romano William De Vecchis (Lega, membro della “Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani”).