Il business è nella sanità, nella privatizzazione del Servizio sanitario. Affermare che c’è chi specula sulla nostra salute non è ideologia, ma la pura verità. Ieri, oggi e, se non saremo capaci di fermare chi tenta di distruggere il Servizio Sanitario Nazionale, sarà così anche domani.
Questa è la cruda conclusione che si può trarre dalla vicenda Formigoni, legata intrinsecamente alla storia della sanità lombarda, settore che costituisce circa il 75% di tutto il bilancio regionale. Eletto nel 1995 presidente della Lombardia, Formigoni è il regista della legge regionale n.31 dell’11/7/1997 che rivoluziona la sanità lombarda e che ha come principio ispiratore la sussidiarietà solidale per assicurare l’erogazione uniforme dell’assistenza sanitaria. Attraverso questo principio il privato entra prepotentemente nel Servizio Sanitario Regionale, formalmente per cooperare alla pari con le strutture pubbliche, nei fatti per essere supportato e foraggiato dal pubblico, riservando per sé i settori più remunerativi della sanità e dell’assistenza, quali ad esempio i reparti di alta specializzazione in cardiologia o le Residenze Socio Assistenziali lasciando al pubblico la gestione dei settori meno redditizi quali ad es. i servizi di pronto soccorso e la psichiatria. In questa gara impari il pubblico si vedrà tagliare migliaia di posti letto sostituiti dalle strutture private accreditate.
La riforma inserisce la separazione in aziende differenti dei servizi sul territorio e degli ospedali, con un continuo impoverimento dei primi sia in risorse materiali che umane. Anche le assunzioni del personale vengono orientate in modo da potenziare alcuni reparti più remunerativi e abbandonare ulteriormente a se stessi gli altri.
Sono ridotti i controlli regionali sulle strutture accreditate e molti servizi vengono esternalizzati. Viene lasciata mano libera all’organizzazione dell’intramoenia, ossia all’esercizio della professione privata da parte dei medici dipendenti delle strutture pubbliche, che cresce fortemente e che diventa il modo più semplice per ovviare, da parte di chi può pagare, alle liste d’attesa che aumentano proprio sotto la gestione Formigoni.
In nome dell’eccellenza la regione si riserva di distribuire una parte delle risorse economiche destinate alla sanità secondo criteri soggettivi che non a caso hanno fatto la fortuna di più d’una struttura privata, che oggi, dopo la condanna definitiva, dovrebbero essere chiamate a restituire quanto ricevuto indebitamente.
Contemporaneamente si è sviluppata l’occupazione dei posti strategici nella macchina sanitaria regionale da parte di uomini fidati del presidente, spesso contigui alla Compagnia delle Opere, anche attraverso la nomina a tappeto di direttori generali di ASL e di Aziende Ospedaliere fedeli al capo.
Queste scelte hanno avuto anche un retroterra ideologico che si è manifestato ad esempio nella distruzione della rete dei consultori pubblici e spesso nel totale isolamento dei medici non obiettori all’interruzione volontaria di gravidanza. Ideologia che si è materializzata anche in altri settori, ne è un esempio il massiccio finanziamento alle famiglie che sceglievano le scuole private.
Formigoni ha sempre potuto contare sulla non belligeranza di una gran parte del centrosinistra che, convinto che vincere in Lombardia fosse impossibile, ha sempre ricercato forme di compartecipazione al potere attraverso accordi diretti o mediati da rappresentanze sociali sul territorio; senza ignorare la sponda e la libertà di azione offerte a Formigoni dai governi di centro sinistra. Per citare un solo esempio possiamo ricordare il ministro della sanità Umberto Veronesi, non proprio indifferente al destino delle strutture sanitarie private in Lombardia.
La privatizzazione della sanità, proseguita da Maroni, ha raggiunto dei livelli talmente inaccettabili che Fontana, attuale presidente leghista della Lombardia, ha dovuto dichiarare che avrebbe apportato qualche cambiamento per rispondere all’esasperazione di milioni di persone, che devono ricorrere alla sanità a pagamento di fronte alle interminabili liste di attesa. Considerato che ampie fette di ceti popolari da anni in Lombardia votano Lega è difficile per l’attuale presidente ignorare il malcontento crescente, in nome della tutela degli interessi dei tre/quattro gruppi economici che dominano la sanità lombarda. Ma ai buoni propositi tanto reclamizzati, non ha fatto seguito alcun atto concreto e la privatizzazione procede spedita.