“Tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale”.
(Ken Saro Wiwa)
Così parlò Ken Saro Wiwa, poeta, scrittore, editore, intellettuale, attivsta nonviolento nigeriano. Aveva 54 anni quando venne impiccato, il 10 novembre 1995. La sua condanna arrivò dopo un processo farsa, senza possibilità di appello, nonostante gran parte del mondo chiedesse la sua liberazione e il rispetto della sua vita.
Ken Saro Wiwa doveva morire perché fin dagli anni ottanta Saro Wiwa si fece portavoce delle rivendicazioni delle popolazioni del Delta del Niger, specialmente della propria etnia Ogoni, maggioritaria in quella regione. Una protesta nonviolenta che fu mossa nei confronti delle multinazionali petrolifere, specialmente verso la Shell, responsabili di continui sversamenti di petrolio oltre 10.000 in 50 anni, e che ancora oggi, danneggiano le colture di sussistenza e l’ecosistema della zona. Wiwa, e il suo movimento Noviolento rivendicavano che le ricchezze del sottosuolo del suo paese non dovessero essere appannaggio escclusivo di pochi consigli di amministrazione e dei politici locali corrotti, ma dell’intera popolazione. “Con quei soldi si può estirpare la miseria, costruire scuole e ospedali, assicurare un futuro a tutti”, diceva Saro Wiwa. Alcuni stimano che i proventi dell’estrazione petrolifera in Nigeria ormai abbia superato i 1000 miliardi di dollari. Una cifra enorme, da capogiro solo a pensarla, sparita nel nulla, mentre nel Delta del Niger la notte continua a illuminarsi di povere candele e la devastazione avanza.
Le opere di Ken Saro Wiwa fecero conoscere questa realtà al mondo, raccontarono e tuttora ci svelano, come veniva e viene ancora messa in atto la rapina coloniale a danno del suo paese, le politiche assassine di vecchi e nuovi colonizzatori, il danno ambientale prodotto, il continuo avvelenamento del territorio nigeriano ad opera delle multinazionali petrolifere in particolare della britannica Shell.
La sua voce si alzò altissima insieme a quella del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni, il suo popolo.
Un movimento caratterizzato da metodi nonviolenti, che ottenne risonanza a livello internazionale con una manifestazione di oltre 300.000 persone che Saro Wiwa guidò al suo rilascio dopo una prima detenzione di alcuni mesi comminata senza processo, nè capo di accusa.
Arrestato una seconda, poi una terza volta nel maggio del 1994, l’accusa del tutto strumentale e falsa. quellla di aver incitato all’omicidio di alcuni presunti oppositori del MOSOP, Ken Saro Wiwa venne impiccato con altri 8 attivisti del MOSOP frettolosamente prima della scadenza di eventuali ricorsi alla condanna, appeso a una corda e lasciato penzolare a monito, alla stessa maniera come centocinquanta anni prima insegnò la “legge inglese” che del Niger aveva fatto la propria colonia.
Nell’aprile del 1995, mentre era in carcere in attesa del processo, gli conferirono il premio Goldman Environmental Prize, in riconoscimento per la sua attività in favore dell’ambiente.
Nel 1996 Jenny Green, avvocatessa del Center for Constitutional Rights di New York avviò una causa contro la Shell per dimostrare il coinvolgimento della multinazionale petrolifera nell’esecuzione di Saro-Wiwa.
Il processo iniziò nel maggio 2009, e la Shell patteggiò fin da subito, accettando di pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari. La Shell ha però poi precisato che aveva accettato di pagare il risarcimento non perché colpevole del fatto, ma per aiutare il “processo di riconciliazione” nel Delta del Niger.
Secondo Jenny Green e gli ambientalisti, invece, i documenti confidenziali della Shell di cui erano venuti in possesso dimostrerebbero un costante lunghissimo coinvolgimento della compagnia petrolifera inglese nelle violazioni dei diritti umani perpretati in Nigeria.
La Shell ancora oggi continua ad operare come principale multinazionale petrolifera presente nel Delta del Niger facendo introiti miliardari, ma al grande banchetto partecipano anche ExxonMobil, ChevronTexaco, TotalFinaElf, pure l’italiana Eni/Agip, attualmente partecipa nelle estrazioni petrolifere nel Delta del Niger, portando a casa la sua bella fetta di guadagno per lo sfruttamento dei giacimenti.
Il danno ambientale non si è mai fermato, gli sversamenti hanno continuato negli anni, ai quali si sono aggiunti, il rilascio di milioni di tonnellate di fanghi come scarti di lavorazione, intanto le popolazioni del Delta continuano ad essere sempre più povere di prima. Si calcola che anche se la devastazione si arrestasse in questo preciso momento, ci vorrebbero 30 anni solo per realizzare le bonifiche parziali del danno che già è stato fatto. Così in molti scappano, migrano, in ogni guerra per il petrolio c’è sempre un prezzo da pagare, un flusso ininterrotto di persone disperate che abbandonano il Delta del Niger, perchè nella loro terra non ci sono più le benchè minime condizioni per la sopravvivenza. Da noi qui in Europa, molti sono convinti che queste persone debbano essere respinte tutte quante, sono convinti che vengano qua a cercare “la pacchia”, sempre più convinti di esser noi dalla parte della ragione e loro dalla parte del torto, “che stiano a casa loro!” ma “loro” una casa non ce l’hanno più da tempo, l’operato delle nostre multinazionali petrolifere, insieme ai politici corrotti nigeriani, glie l’hanno sottratta, nel frattempo la benzina, compresa quella della Shell, si continua a comprare, il danno e la devastazione avanzano, in pochi continuano ad arrichirsi sui tanti e la povera gente continua a scappare.
“Non è il tetto che perde
e nemmeno le zanzare che ronzano
nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
quando il secondino ti chiude dentro.
Non è la meschina razione
insufficiente per un uomo o per una bestia
neanche il vuoto delle giornate
che sprofonda nel baratro della notte
non è
non è
non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
le orecchie per un’intera generazione
è il poliziotto che corre come un pazzo sanguinario
ed esegue spietati ordini omicidi
in cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
la punizione ingiusta, e lo sa bene,
la decrepitezza morale
l’inettitudine mentale
che dà alla dittatura una falsa legittimazione
la vigliaccheria travestita da obbedienza
in agguato nelle nostre anime denigrate
è la paura di calzoni bagnati
non osiamo eliminare la nostra urina
è questo
è questo
è questo
caro amico, che trasforma il nostro mondo libero
in una tetra prigione.”
Così scriveva allora Ken Saro Wiwa, dal buio della nostra prigione.