Si è riunito ieri, martedì 26 febbraio, su richiesta degli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per discutere della situazione in Venezuela. Nella sua relazione, Rosemary Di Carlo, Vicesegretario Generale dell’Organizzazione per le questioni politiche ed il peace building, ha riferito che la situazione di crisi in Venezuela ha portato ad una «allarmante escalation di tensione», notando, in particolare, che il supporto alla popolazione venezuelana avvenga in accordo con i principi di «neutralità, imparzialità e indipendenza», un supporto che deve essere libero da «obiettivi politici e basato sulle effettive condizioni di bisogno».
Una relazione, peraltro, criticata dal governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, che, attraverso le parole del Ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ha riferito come diverse informazioni sulle quali tale rapporto si è basato fossero unilaterali e parziali, sottolineando, in particolare, imprecisioni e lacune nella informativa. Relazione, d’altra parte, lontana anni luce dalla posizione espressa dagli Stati Uniti, che, attraverso il rappresentante speciale del governo statunitense per il Venezuela, Elliot Abrams, si è spinto a chiedere di «costringere il regime illegittimo a dimettersi». Appena poche settimane prima, lunedì 18 febbraio, ancora dalla sede delle Nazioni Unite a New York, era stata annunciata la formazione di un Gruppo di Stati in difesa della Carta delle Nazioni Unite: il tentativo di rovesciare il governo e le autorità legittime della Repubblica Bolivariana del Venezuela e la richiesta di imporre con la forza un intervento internazionale o, nello specifico, l’ingresso non concordato di beni nel Paese, costituiscono, infatti, una palese violazione della Carta dell’ONU, specificamente in relazione al rispetto del principio di pari diritti e di autodeterminazione dei popoli (art. 1.2 della Carta delle Nazioni Unite), al rispetto per l’uguaglianza sovrana degli Stati (art. 2.1 della Carta), all’obbligo di ogni Stato di astenersi dalla minaccia dell’uso della forza o dall’uso della forza contro uno Stato (art. 2.4 della Carta), al rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di tutti gli Stati (art. 2.4 della Carta) e, ovviamente, alla non ingerenza negli affari interni dei singoli Stati (art. 2.7 della Carta).
Peraltro, le Nazioni Unite non possono che riconoscere nel presidente Maduro e nelle autorità bolivariane le uniche autorità costituzionali e legittime del Venezuela e la stessa consegna di beni e prodotti nel Paese non può che avvenire attraverso canali riconosciuti e legittimi: ancora nella sessione del Consiglio di Sicurezza, infatti, la stessa Di Carlo non ha potuto mancare di osservare come «i beni consegnati da Russia e Cina sono entrati regolarmente nel Paese, in coordinamento con il governo venezuelano». Quanto alla questione di legittimità delle autorità bolivariane, è appena il caso di notare che le elezioni presidenziali in Venezuela, del 20 maggio 2018, si sono tenute in forma anticipata proprio su richiesta delle opposizioni, vi hanno partecipato sedici schieramenti politici di tutto lo spettro parlamentare, vi hanno concorso quattro distinti candidati alla carica di presidente (Nicolas Maduro, Henri Falcon, Javier Bertucci, Reinaldo Quijada) e, alla fine, Maduro è risultato vincitore, con un ampio margine, ma non con un “plebiscito” come talvolta si vorrebbe fare credere, ottenendo poco più di 5.8 milioni di voti, pari a quasi il 68%. Le elezioni si sono tenute, come tutte le 19 elezioni svolte in Venezuela dal 2004 in avanti, con un sistema di voto che lo stesso Centro Carter ha definito trasparente ed affidabile, ampiamente automatizzato, basato su una procedura a tre livelli, il suffragio elettronico, il suffragio diretto e la possibilità di controllare le procedure elettorali sia prima sia dopo il voto.
Lo stesso sistema elettorale, peraltro, con il quale le opposizioni vinsero le elezioni parlamentari nel 2015: come ha scritto Attilio Folliero, «una strana dittatura, dove si vota spesso (almeno 22 elezioni negli ultimi 18 anni) e l’opposizione vince anche: ha vinto le ultime elezioni parlamentari del 2015, vinse un referendum costituzionale, ha eletto governatori, sindaci, consiglieri». Come se non bastasse, circa 150 persone hanno seguito le elezioni presidenziali, tra cui 14 commissioni elettorali provenienti da otto Paesi; due missioni tecnico-elettorali; giornalisti da ogni parte del mondo; un parlamentare europeo. L’accusa, rivolta a Maduro, di avere «esautorato il parlamento», è destituita di fondamento, perché omette di ricordare che, dopo le elezioni parlamentari del 2015, la Corte Suprema dichiarò nulla l’elezione di quattro deputati, tra cui tre dell’opposizione, e ciononostante la maggioranza parlamentare, in mano alla opposizione, decise di non sottostare alla deliberazione, insediando ugualmente i tre deputati, ponendosi, di conseguenza, secondo un successivo deliberato, in oltraggio alla Corte e rendendo quindi il Parlamento «illegittimamente costituito».
In linea con la Costituzione Bolivariana, le successive elezioni del 2017 hanno eletto anche una Assemblea Nazionale Costituente, per aggiornare la Costituzione Bolivariana, a sua volta approvata con un referendum popolare costituzionale, il 15 dicembre 1999, cui hanno partecipato quasi cinque milioni di venezuelani, con quasi il 72% di voti a favore. Il Venezuela Bolivariano si è incamminato, con la sua Rivoluzione, su una strada «bolivariana e socialista», contraria agli interessi degli USA e delle potenze occidentali nel subcontinente; e siede sulla più grande riserva di petrolio al mondo, oltre ad avere risorse ingenti, di minerali, acqua, bio-diversità. Che ci siano forse ben altri interessi, dietro questo fuoco di fila di minacce, ingerenze, e fake news?