Lo scorso 13 febbraio le maggiori associazioni indigene del Brasile hanno consegnato alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani l’ultimo rapporto sugli episodi di violenza contro le comunità e i popoli indigeni del Brasile. Il rapporto firmato dall’organizzazione dei popoli indigeni del Brasile APIB, dalla Federazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia COIAB, dall’Unione dei popoli indigeni del nordest, Minas Gerais e Espirito Santo APOINME e dall’associazione panamericana di assistenza legale agli indigeni Indian Law Resource Center ILRC, e presentato alla Commissione durante il suo vertice a Sucre (Bolivia) mostra uno spaventoso aumento degli episodi di violenza contro le comunità indigene in seguito alla vittoria elettorale dell’attuale presidente Jair Bolsonaro in ottobre 2018. Da allora sono stati registrati almeno 16 attacchi gravissimi tra cui quattro omicidi, lapidazioni, disboscamenti illegali di territori indigeni, minacce e incendi dolosi. Il rapporto parla di distruzione deliberata e incendi di centri per la salute indigeni da parte di agricoltori e di attacchi a comunità indigene con pallottole di gomma. I numeri testimoniano una spaventosa escalation della violenza contro la popolazione indigena, avvenuta in pochissimo tempo, e che fa temere per il futuro dei circa 300 popoli indigeni del paese americano.
Già durante la sua campagna elettorale Bolsonaro aveva annunciato che non avrebbe più accolto le rivendicazioni delle comunità indigene. Immediatamente dopo il suo insediamento lo scorso 1 gennaio 2019, il presidente, sostenuto soprattutto da gruppi di estrema destra e da chiese pentecostali fondamentaliste, aveva trasferito le competenze dell’ente per gli indigeni FUNAI al ministero per l’agricoltura, in particolare per quanto riguarda i diritti territoriali degli indigeni, e al ministero della famiglia, delle donne e dei diritti umani. Per le comunità indigene questo atto è stato l’equivalente di una dichiarazione di guerra visto che la maggior parte dei conflitti legati al territorio e allo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali nascono proprio dalla potente lobby agraria del paese. Di fatto la ministra per l’agricoltura Tereza Cristina si è già detta favorevole ad una redistribuzione dei territori indigeni. Tereza Cristina è considerata una delle sostenitrici dell’agricoltura industriale, poco incline a difendere i diritti territoriali degli Indigeni come il suo incarico invece richiederebbe. E’ poco probabile che la ministra si opponga alla linea del presidente che ha annunciato di non voler più ammettere altri iter giudiziari per il riconoscimento dei territori ancestrali indigeni.