Pressenza, nel decimo anniversario della nascita, ha rilanciato la propria attività di “intermediazione” tra attivisti e cittadini fruitori dell’informazione promuovendo domenica scorsa un incontro-dibattito al circolo Arci Bellezza di Milano.
Quello milanese è stato il primo di una serie d’incontri che si concluderanno il prossimo 6-7 aprile al Monastero del Bene Comune a Sezano (Verona), come ha spiegato la redattrice dell’agenzia Anna Polo.
Il tema centrale dell’incontro, sia pure non esclusivo, è stato quello dell’immigrazione e della sua comunicazione attraverso i media.
Gli interventi degli ospiti, moderati dalla giornalista free-lance Lorella Beretta, hanno consentito alla sessantina di presenti di acquisire conoscenze dirette e puntuali.
«In Europa non si può entrare se non da clandestini», ha spiegato Andrea della redazione di “Radio Onda d’Urto” denunciando l’assenza di adeguati programmi di “flussi di ingresso” per i migranti.
Il “decreto flussi 2018” (governo Gentiloni – Partito Democratico), infatti, consentiva appena una quota di ingresso di 500 cittadini stranieri non comunitari e 100 oriundi dal Sudamerica oltre «18.000 ingressi per lavoratori stagionali» e la conversione di 9.850 altri permessi di soggiorno già in corso.
Roberta Ferruti di Recosol ha precisato come sia «un pregiudizio già pensare che l’immigrato sia di colore e arrivi dall’Africa; non è così».
I dati del Ministero dell’Interno, in proposito, sono forse poco diffusi: dei 130.119 richiedenti asilo del 2017, ad esempio, oltre il 25% proviene dalla stessa Europa (Ucraina, Kosovo e Georgia prevalentemente) oppure da Asia (nell’ordine, da Bangladesh, Pakistan, Siria, Iraq, Afghanistan) e America (El Salvador e Venezuela, soprattutto).
Dei 5.144.000 stranieri residenti in Italia nel 2018 (solo l’8,5% della popolazione residente, nessuna “invasione” quindi), invece, solo il 21,3% proviene dall’Africa e meno dell’8% (poco più che 400.000) dall’Africa “nera”, come documenta TuttItalia.
Sulle migrazioni, e sulla famosa affermazione “aiutiamoli a casa loro”, Raffaele Masto di Radio Popolare e della rivista Africa, ha chiarito: «è vero, bisogna aiutarli in casa loro. È la cosa più giusta, ma è la cosa che ci costa di più». Pensiamo – ha spiegato – quanto ci costerebbe «pagare le materie prime al giusto prezzo», a cominciare dal petrolio, dall’oro, dall’uranio, ai minerali base per realizzare computer e telefoni cellulari, con i conseguenti rincari sui consumatori finali, noi.
Angelo Ferrari, giornalista dell’agenzia AGI, si è soffermato sulla pessima condizione della donna oggi in Africa, in particolare sul persistente fenomeno della mutilazione genitale e sul «sesso di sopravvivenza» che sono costrette a praticare diverse ragazze. Ferrari, tuttavia, ha aggiunto che «il futuro dall’Africa dipende dalla donna» evidenziando che oggi la donna sta assumendo un ruolo sempre maggiore come dimostra la recente elezione di una donna a presidente dell’Etiopia.
Ciò nondimeno, il “neocolonialismo”, la “disparità economica”, i “dinosauri del potere”, per Ferrari, sono alcuni dei principali problemi e concause delle migrazioni dall’Africa.
Ferrari, durante l’incontro, ha presentato il progetto, che ha per tema la tradizione delle mutilazioni femminili, cui lui partecipa: “Dalla parte di Nice”.
Un’anticipazione della video-storytelling di questo progetto è su YouTube.
Delle carenze della stampa mainstream ha accennato Christian Elia del magazine online Qcode.
Per Elia, la stampa ha perso la sua forza principale: «l’indipendenza economica». D’altro canto, l’informazione indipendente soffre il «parlare a se stessi». Occorre, per Elia, “invadere” anche il mainstream altrui. Soprattutto, bisogna provare a far parlare direttamente gli “attori”. Ad esempio traducendo gli articoli dei giornali dei Paesi da dove provengono i migranti. Oppure col progetto “Dimmi” con cui lui prova a diffondere una contro narrazione alternativa al «marketing delle paure» diffuso dai media mainstream.
Da Elia, che ha denunciato un «“imbarbarimento” della società iniziato 20 anni fa», giunge, inoltre, la proposta rivolta a tutti gli attivisti di «lavorare assieme, non restare nella propria “raccolta fondi”».
#Italiananarms, presentato durante i lavori dell’incontro, è un progetto che va nella direzione di contaminare i mainstream. Laura Silvia Battaglia ha spiegato il lavoro dietro questo progetto che studia minuziosamente la vendita di armi italiane all’estero e il loro impiego nei Paesi di destinazione. Una narrazione che ha già trovato spazio nel programma Report.
Un esempio: l’elicottero T-129 ATAK prodotto da Finmeccanica-Leonardo e impiegato in Turchia nelle azioni militari, anche sui civili, a Afrin in Siria.
Particolarmente toccante l’intervento di Riccardo Gatti di OpenArms, in diretta via Skype da Barcellona. Gatti ha denunciato come «ogni secolo ha avuto la sua parola magica, ora è quella della “sicurezza”. Un concetto che è di esclusione perché inteso come proteggerci dagli altri».
I catalani di OpenArms, con cui collabora – ha spiegato Gatti – non si limitano a salvare vite umane, ma anche a svolgere una «attività di denuncia delle violazioni dei diritti umani in mare».
Veronica Alfonsi, sempre di OpenArms, ha precisato, rispondendo ad una richiesta dalla platea, che l’organizzazione opera prevalentemente col volontariato, mentre la “raccolta fondi” viene destinata all’attività di salvataggio nel Mediterraneo. Un’informazione che trova conferma sul sito della ONG: dei fondi, «il 95,5% è stato destinato all’azione diretta nella missione Mediterraneo».
La giornata promossa dalla redazione milanese di Pressenza si è conclusa con dei “propos-it” appesi dai partecipanti su una lavagna con alcune proposte per proseguire e incrementare il rapporto tra attivisti e media indipendenti. Tra le proposte, quella di “dettare l’agenda” dell’informazione e non subirla.