Sabato 19 gennaio 2019 dalle 14 alle 20
Teatro Verdi, via Pastrengo 16, Milano
Si fa sempre più concreto ed imminente il rischio che nella città di Milano e in diverse altre città di Italia, nei primi mesi del 2019 vedano la luce nuovi Centri di Permanenza per il Rimpatrio (ex CIE) ad affiancarsi a quelli già esistenti, come da progetto del precedente governo di istituirne uno per ogni Regione, che sotto l’attuale sta prendendo rapidamente corpo.
A Milano, in via Corelli, si liquida il personale e si chiude un centro di accoglienza sradicando da relazioni di studio, lavoro, amicizia e integrazione chi vi aveva trovato ospitalità in attesa dell’esame della propria richiesta di asilo (esercizio di un diritto costituzionale), per trasformare la struttura in un centro di detenzione amministrativa per stranieri, ed in particolare per stranieri con l’unico addebito di non avere un titolo di soggiorno, che le attuali leggi non consentono loro di acquisire e, se già ce l’hanno, non consentono loro di conservare.
Quando, per il 1° dicembre, abbiamo lanciato un appello alla società civile perché si raccogliesse contro l’apertura di un lager “né a Milano né altrove” (ma neppure sull’altra sponda del Mediterraneo), in tanti e tante, e di ambiti, professioni e storie variegate, ci siamo ritrovati con la stessa indignazione e la stessa preoccupazione che l’apertura di un CPR a Milano e di altri in Italia – atto già grave e odioso di per sé – costituisse solo la punta dell’iceberg di una gestione miope, scellerata e strumentale del fenomeno immigratorio, e soprattutto rappresentasse l’emblema di una politica che persevera nel quotidiano oltraggio dei valori democratici e dei diritti costituzionali non solo degli stranieri, ma di tutte e tutti.
E il decreto Salvini, ormai legge, fondato sull’abbagliante e subdolo binomio “immigrazione- sicurezza”, di tale gestione e mentalità rappresenta un macroscopico esempio, che purtroppo ha trovato la strada spianata da precedenti scelte che hanno cavalcato istanze securitarie, assumendo provvedimenti quali l’abolizione dell’appello contro le decisioni di diniego della richiesta di asilo, l’istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione, l’adozione dello sbrigativo rito camerale in cui la difesa del richiedente è gravemente pregiudicata, e poi ancora quale l’introduzione di strumenti di pretesa “sicurezza” urbana a tutela di un fantomatico arbitrario “decoro”; strumenti che spesso e volentieri si sono ben prestati a un utilizzo direttamente discriminatorio (a Milano il daspo è stato finora usato solo nei confronti di rom ed extracomunitari), e altrettanto spesso sono stati adoperati per sanzionare ed inibire comportamenti di solidarietà come la distribuzione di cibo ai migranti.
Quanto ai lager, invece, che ora stanno aprendo nelle nostre città, anche essi sono stati riesumati già da tempo e hanno anche registrato il fenomeno di una sorta di ipocrita “esternalizzazione” in Libia, lontano dagli occhi lontano dal cuore, che ha scritto e scrive ancora una pagina di vergogna nella storia del nostro paese.
Fatto sta che ora, a distanza di poche settimane da quel 1° dicembre, i temuti deflagranti effetti della politica securitaria e repressiva degli ultimi anni sono ormai devastanti e sotto gli occhi di tutti: portata a compimento dal presente governo la campagna mediatica di criminalizzazione dei migranti (specie se “irregolari”, ma non solo) e di chi con loro solidarizza, in questi giorni, paradossalmente, per effetto del decreto Salvini ora legge, a migliaia di stranieri regolari vengono tolti permesso di soggiorno, accoglienza, e quindi lavoro, gettandoli irreversibilmente nella “clandestinità”; mentre allo stesso tempo si avvia una massiccia detenzione di massa nei CPR con la prospettiva della pantomima di un rimpatrio che, per indisponibilità di mezzi e di trattati coi paesi di origine, potrà riguardare solo una percentuale irrisoria di essi, lasciando gli altri nel disagio di una vita ai margini della società. Quanto poi ai nuovi ingressi di chi riuscirà a sopravvivere al Mediterraneo o cercherà altre vie di accesso, le nuove norme che istituiscono procedure accelerate di frontiera e detenzioni li relegheranno solo ad un piccolo fastidio della periferia dell’impero.
È il momento di capitalizzare gli sforzi, le esperienze, la rabbia, ed organizzare le energie per fare fronte comune sul fatto che non possano essere né la nazionalità né un foglio di carta a determinare l’esistenza di un essere umano o a incidere sul suo diritto alla libera mobilità tra i paesi del mondo o sul suo diritto di soggiornare liberamente in uno di essi.
● Per cominciare a discutere e organizzare una mobilitazione comune di disobbedienza civile, di pressione sulle autorità per la disapplicazione delle leggi anticostituzionali e di resistenza, aspettiamo la società civile di ogni età, sesso, provenienza, religione e lingua, proveniente da ogni ambito sociale, politico e geografico, per una assemblea pubblica su questi temi.
Per ulteriori adesioni alla campagna e per informazioni: noaicpr@gmail.com