Abbiamo già pubblicato un breve articolo sull’impegno di Opet Bosna a favore di profughi e migranti bloccati al confine tra Bosnia e Croazia. Ne parliamo più diffusamente con Marco Cicorella, uno dei fondatori dell’associazione.
Avete fatto da poco un viaggio in Bosnia. Che situazione avete trovato?
Sì, il viaggio è iniziato il 27 dicembre 2018 e si è concluso il 2 gennaio 2019. Ci ha accompagnato un membro di Ospiti in arrivo. I nostri principali partner locali sono sempre SOS Team Kladuša (SOS) e l’organizzazione spagnola No Name Kitchen (NNK). Il prossimo viaggio è in programma per metà febbraio e ha l’obiettivo di raccogliere 2.000 euro.
Nonostante le temperature sotto lo zero, il flusso di persone in arrivo in Bosnia non è mai cessato. E’ difficile fare delle stime. Secondo i dati ufficiali del governo bosniaco e dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) dall’inizio dell’anno quasi 23.000 persone provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Palestina, dal Bangladesh, dall’Iran, dall’Iraq, dallo Yemen e dal Maghreb sono entrate in Bosnia, ma di queste solo un migliaio hanno formalizzato la richiesta d’asilo. Un centinaio i rimpatri assistiti. In Bosnia nessuno si vuole fermare.
Inoltre da alcuni mesi è iniziata a Bihac una “politica di alleggerimento” dei flussi, giustificata dalle autorità con l’impossibilità di garantire a tutti un tetto. Chi viene trovato sui treni, sugli autobus, sui taxi, viene respinto e rimandato a Sarajevo o abbandonato in mezzo al nulla. Dalla capitale poi si ripartirà, magari facendo la fortuna di trafficanti e “smugglers”, per raggiungere nuovamente Bihac o Velika Kladuša.
L’ex casa dello studente di Borici, l’edificio fatiscente che per mesi è stato il rifugio di centinaia di profughi e migranti, è stata smantellata e le persone trasferite in un campo governativo gestito dall’OIM e dall’ACNUR (Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati) in collaborazione con la Croce Rossa e altre organizzazioni internazionali non governative. Sono tra 1800 e 2100, di cui almeno un centinaio i minori stranieri non accompagnati e un numero imprecisato di famiglie con bambini, costretti a vivere in condizioni di promiscuità e sovraffollamento.
Famiglie, minori soli e persone vulnerabili sono poi ospitate temporaneamente all’Hotel Sedra – che ha una capienza di 420 posti – e presso altre strutture alberghiere, sempre gestite dall’OIM e dall’ACNUR e da altre organizzazioni non governative. Secondo quanto riferitoci da alcuni volontari della Croce Rossa, tutte queste persone saranno trasferite nuovamente al Borici non appena i lavori di ristrutturazione, avviati dopo lo smantellamento, saranno ultimati.
Anche a Velika Kladuša (VK), le persone non hanno smesso di arrivare. Dopo le proteste ai confini e lo smantellamento della “palude”, la tendopoli informale che per mesi ha ospitato centinaia di migranti, tra le 400 e le 700 persone sono oggi accolte nell’ex fabbrica Miral. E’ difficile sapere quanti minori soli e famiglie sono presenti. Anche qui a gestire il campo ci sono l’OIM e l’ACNUR, in collaborazione con alcune organizzazioni non governative.
Molti, soprattutto giovani, hanno cominciato a occupare delle case abbandonate. Tutti hanno provato più volte ad attraversare il confine per arrivare in Croazia e sono tornati indietro dopo aver subito pestaggi e furti da parte della polizia croata. E comunque ci riprovano: lo chiamano il “game”.
In questo viaggio abbiamo trovato una novità: un posto di pronto soccorso impegnato a medicare anche 30/40 persone al giorno, ferite dalla polizia croata o ustionate dalle stufe e dai fuochi improvvisati accesi nelle case per riscaldarsi.
Anche in Bosnia è iniziata la “criminalizzazione della solidarietà”
Sì, purtroppo, come in tante altre zone, nel Mediterraneo, in Inghilterra o al confine tra Italia e Francia. Oggi anche solo accogliere un profugo in casa propria e offrirgli un thè o una doccia può costare fino a 2000 euro di multa. Per non parlare dei “fogli di via” contro i volontari di associazioni indipendenti che si adoperano per rendere più dignitose le condizioni di vita di migliaia di rifugiati. Qui però c’è una situazione particolare: tutti sanno cosa significa scappare dalla guerra ed essere un profugo e quindi sono in grande maggioranza più ricettivi e aperti di noi. Nonostante le tensioni, le criticità e la disperazione dei migranti, che spesso si traduce in comportamenti antisociali, pochi bosniaci hanno ceduto alle intimidazioni.
Quali sono le maggiori necessità?
Con le donazioni ricevute abbiamo acquistato soprattutto scarpe e calze termiche, comprate sul posto per evitare problemi con le dogane e anche per aiutare l’economia locale e cibo per le cucine del ristorante dove SOS dà da mangiare tutti i giorni a 300/400 persone. Il pranzo è preparato da un gruppo di 5/6 bosniaci e al bancone del ristorante c’è ancora appeso il cartello: “Nobody died of hunger during the war and nobody will die of hunger now” (Nessuno è morto di fame durante la guerra e nessuno morirà di fame ora). Come dicevo prima, il ricordo ancora vivo della guerra che ha attraversato tutta l’ex-Jugoslavia ha fatto sì che in tanti si siano attivati per sostenere le persone arrivate in Bosnia.
Nelle cantine del ristorante c’è anche un Free Shop dove i migranti ricevono biancheria, calze e articoli per l’igiene personale e possono scegliere i vestiti tra quelli donati. I volontari li aiutano a trovare quello di cui hanno bisogno. Guardarsi allo specchio e scegliersi i vestiti anziché dover prendere quello che è disponibile restituisce alle persone un po’ di dignità, umanità e leggerezza.
Cosa si può fare a tuo parere per contribuire a cambiare questa situazione inumana e anche poco conosciuta?
Varie cose, semplici e alla portata di tutti: la più immediata è fare una donazione, che ci permetta di comprare quello di cui c’è bisogno. Poi partecipare ai nostri viaggi, che sono aperti a tutti e permettono di toccare con mano il fatto che questa non è una realtà lontana, ma un problema che riguarda un vicino di casa. E quando incontri una persona che ha bisogno cosa fai? La scavalchi e tiri diritto, o le dai una mano?
Un altro punto importante riguarda l’informazione: è importante che si sappia che la logica europea è quella di mettere sotto pressione la Bosnia (così come la Grecia), perché tenga lontani i profughi, li renda invisibili e di premiarla quando lo fa. Questa logica, oltre che disumana, è anche fallimentare, perché la gente continuerà ad arrivare, sempre più disperata ed esasperata, o morirà per strada.
Per questo un grande aiuto consiste nell’organizzare incontri pubblici in cui possiamo raccontare la nostra esperienza e denunciare la situazione. E’ necessario parlare di tutte queste persone – uomini, donne, bambini – in fuga dai loro paesi, bloccate e picchiate ai confini, nascoste nei boschi tra le mine antiuomo, gli orsi e i lupi, o costrette a pagare migliaia di euro a qualche trafficante per raggiungere la cosiddetta “culla della civiltà”. Sono le vittime delle pagine più buie del nostro tempo, della nostra Fortezza Europa e della nostra storia. E noi non vogliamo essere complici di questa disumanità.
Qual è la motivazione più forte e profonda per continuare questa attività?
In realtà ogni volta che torniamo sentiamo di aver ricevuto molto di più di quello che abbiamo dato. E’ un’esperienza intensa, che arricchisce, ti fa sentire più vivo e aperto. Trovi gente felice di vederti, di constatare che non tutti sono razzisti e ostili e puoi creare ponti e riaffermare il valore della solidarietà.