Seguo da numerosi anni la faccenda della Torino-Lione; non sono un esperto, anche se Pressenza ha pubblicato numerosi comunicati del Movimento No-Tav ed io personalmente intervistato persone molto più esperte di me sull’argomento. Una cosa che mi ha sempre colpito del Movimento No-Tav è la pacatezza degli argomenti, la popolarità dei componenti (dai bambini ai nonni), il radicamento nella valle, l’assoluta nonviolenza e, soprattutto, la grande documentazione e capacità di studio.
Siamo alla fine della famosa fase del governo di studio dei costi e dei benefici e mi auguro che questa tremenda mole di studi fornita dal Movimento sia stata presa in considerazione. Personalmente, da sempre, la mia convinzione è che la Torino-Lione non vada fatta per una quantità di motivi ecologici, economici, di territorio; non mi serve un’analisi costi-benefici, mi basta sapere che esiste la concreta possibilità che bucando quella montagna possano uscire sostanze tossiche che potrebbero far ammalare la gente dell’intera Val Padana, per me basta così, quali costi-benefici, prima viene la salute delle persone, punto.
In ogni caso è stato già spiegato fino alla noia che ci sono numerosi motivi per non fare la Torino-Lione, motivi anche molto diversi tra loro e da numerosi punti di vista. Ma perché, di fronte a tanta argomentazione e documentazione, si vuol fare lo stesso? Perché si mobilitano forze politiche e sociali di diverso segno stranamente riunite sotto al bandiera “sì TAV”?
Non sono un economista, non sono un politico sono semplicemente una persona che cerca di essere ragionevole e coerente con alcune idee di base che mi paiono valide; di conseguenza non mostrerò cifre e non farò proclami elettorali ma cercherò di seguire il filo di un semplice ragionamento che possa essere comprensibile a qualunque persona; un ragionamento che non ha l’obiettivo di convincere nessuno ma piuttosto quello di segnalare un fenomeno: ognuno trarrà le conclusioni che gli parranno opportune.
Parlare del TAV, di questa e di tutte le altre, comporta allargare il discorso alle cosiddette Grandi Opere. L’idea delle Grandi Opere, in senso moderno, è un argomento della cultura industriale; in Italia le Grandi Opere iniziano con il fascismo e continuano con il boom economico del dopoguerra: ponti, dighe, bonifiche, autostrade, centrali nucleari, viadotti, navi da crociera sono sottoprodotti della grandiosa idea del “progresso”, dello “sviluppo senza limiti” della civiltà industriale; l’ultima frontiera di questo mito è la conquista dello spazio, il massimo della grande opera tecnologica. Il fatto che queste Grandi Opere siano state spesso funestate da Grandi Incidenti (Vajont, Chernobyl, Titanic, Apollo 13, Ponte Morandi ecc…) non ha levato nulla alla caratteristica del Mito dentro le quali sono inserite; nel Mito un po’ di Tragedia non guasta.
Questo il trasfondo mentale delle Grandi Opere, trasfondo di cui è pieno il paesaggio mentale in cui si sono formati i decisori sociali ancora in auge.
Ma c’è un altro aspetto, più terra terra, che corrisponde alla piega che le questioni economiche hanno preso negli ultimi 50 anni, più o meno: l’avanzata della speculazione finanziaria e il suo dirigere la politica e l’economia dalla seconda metà del XX° secolo ad ora. L’economia si è andata sempre più finanziarizzando e concentrando: sono anni che i guadagni sono sempre meno reinvestiti in produzione e se ne vanno sempre di più verso la speculazione finanziaria; allo stesso tempo sono sempre di più le fusioni e concentrazioni di aziende: sempre più potere, sempre in meno mani. E queste mani hanno un solo semplice interesse: il profitto.
Le Grandi Opere si inseriscono a meraviglia in questo processo: quando si mettono in moto ci sono banche (che sono il braccio armato della speculazione finanziaria) che prestano soldi (a privati o a governi, che importa) per la realizzazione della Grande Opera; questa messa a disposizione è un guadagno in sé dato che non c’è alcun rischio perché quei soldi in qualche modo torneranno indietro sia che l’Opera si faccia sia che non si faccia. Nel caso peggiore c’è sempre un governo (di qualuque colore) che “salva” la banca “nell’interesse dei risprmiatori”.
E qual’è l’altro innegabile vantaggio della Grande Opera? Che muove un sacco di soldi: un sacco di soldi un sacco di vantaggi. Perché, per esempio, non si investe e si incentiva il settore del fotovoltaico che potrebbe ancora risolvere ecologicamente i problemi energetici? Perché il fotovoltaico comporta diffusione sul territorio, pochi soldi distribuiti tra la gente; tentarono di fare “centrali solari” parecchi anni fa in California e si resero conto che una “Grande Opera Solare” era un’assurdità e perfino poco conveniente ed efficiente.
Meglio Grandi Opere, tanti soldi, molto tempo per realizzarle (tanti buoni interessi) e sicurezza di vincere comunque. Distruggono l’ambiente, sono pericolose per la salute, non risolvono i problemi che dicono di risolvere? Che importa, l’importante è il profitto che producono per quei due gatti che ci devono guadagnare e che distribuiranno, magnanimi, qualche spicciolo e un pochino di potere ai lacché che appoggeranno la causa. Ai quali l’incarico di trovare gli argomenti economici ed ideologici per giustificare la faccenda.
Così forse qualcuno capirà come la Torino-Lione raccolga strani consensi trasversali e perché le Grandi Opere facciano rimangiare promesse elettorali a più di un partito.
Dobbiamo smettere di credere in chi non mette in discussione il dogma centrale del profitto, legato strettamente a quelli del potere e del lavoro; dobbiamo rimettere al centro l’Essere Umano e quando diciamo questo stiamo parlando dell’importanza di ogni singola persona e del suo diritto, per il solo fatto di nascere, di vivere una vita degna, piacevole, confortevole e in cui possa trovare un senso.
Questa è la priorità umana del momento, un nuovo paradigma, un nuovo senso e un nuovo destino, senza scorciatoie. E questa priorità comporta scelte personali e sociali di un altro tipo, in base a valori e non a interessi.