Ho iniziato a scrivere dopo la condanna all’ergastolo, quando ho smesso di vivere, in questo modo ho iniziato a vivere di nuovo trovando la libertà e alla fine me stesso.
Una volta un mio compagno di cella, che mi vedeva scrivere tutti i giorni, mi aveva chiesto perché lo facessi e gli avevo risposto che innanzitutto scrivevo per fare sapere qualcosa di più di me ai miei figlie alle persone che mi volevano bene, poi per dare il mio contributo a far conoscere il carcere al mondo esterno e gli avevo citato una frase trovata scritta sul muro di un lager nazista: Io sono stato qui e nessuno lo saprà mai. Ecco, questa per me era la cosa più brutta.
Quando uno scrive non è mai sicuro di niente. E non è vero che uno scrive per se stesso, si scrive sempre per gli altri. Si scrive per sentirsi vivi. Io, in 27 anni di carcere, ho scritto anche per dimostrare a me stesso che, nonostante fossi chiuso in cella, coperto di cemento e di sbarre di ferro e cancelli blindati, non solo respiravo, ma ero anche vivo.
Come sappiamo, la letteratura è l’anima di un Paese e io sono fortemente convinto che in Italia la giustizia e le prigioni siano quelle che sono anche perché, a differenza di altri Paesi, nel nostro manca una letteratura sociale carceraria. Dall’universo carcerario arrivano notizie ma non arriva una informazione “dal basso”, per questo penso che sia importante per i prigionieri far conoscere all’opinione pubblica l’inferno delle nostre “Patrie Galere” che i nostri governanti hanno creato e mal governano.
Nel mondo esterno ormai le persone scrivono poco, o perché non hanno tempo o perché sono occupati a guardare i loro telefonini, per questo penso che una nuova letteratura contemporanea possa nascere solo fra le sbarre.
In questa edizione VI del Premio Internazionale di Letteratura Città di Como il dott. Giorgio Albonico e l’avv. Marcello Iantorno per gli organizzatori hanno deciso di far partecipare anche i detenuti (compresi quelli in pene alternative) con l’esonero dal pagamento della quota di partecipazione. Si parla e si scrive poco di carcere: ecco un’occasione per poterlo fare, anche perché i veri scrittori per raccontare le loro storie hanno bisogno d’inventare, noi invece siamo più fortunati di loro perché abbiamo solo bisogno di ricordare e di guardarci intorno. Poi i grandi scrittori, dando consigli agli aspiranti, hanno sempre detto che per diventare autori bisogna aver vissuto molto e noi, nel bene e soprattutto nel male, lo abbiamo fatto.
Lancio un appello ai familiari dei detenuti per comunicare ai loro parenti questa importante opportunità che hanno di partecipare a questo concorso letterario e per far avere loro la scheda di partecipazione, insieme ad altre informazioni, che potranno trovare nel sito: www.premiocittadicomo.it
Buona scrittura.
Carmelo Musumeci