Victoria Honeyman, Università di Leeds per The Conversation
Man mano che la scadenza del 29 marzo 2019 si avvicina, tutte le manovre politiche, i negoziati, le discussioni e gli scontri stanno raggiungendo il culmine. Nei due anni e mezzo dal referendum UE del 2016, le opinioni di entrambe le parti si sono inasprite e l’accordo sembra ancora lontano quanto lo era il giorno dopo il referendum.
Con l’accordo presentato da Theresa May, che non piace a nessuno ed è stato respinto da una maggioranza senza precedenti nella Camera dei Comuni, tutti si chiedono cosa si può e si deve fare adesso.
Esistono diverse opzioni, alcune più realistiche di altre, ma in questi tempi turbolenti è impossibile escluderne definitivamente alcune. Ecco alcune possibilità.
Presentare un nuovo accordo
Dopo aver visto il suo accordo respinto dal Parlamento, la mossa più ovvia per May potrebbe sembrare quella di tornare dall’Unione Europea per rinegoziare. Ma l’UE a 27 è stata chiara fin dal giorno del risultato del referendum su ciò che era disposta a offrire. Come partner principale nei negoziati, e con un quadro giuridico e politico da proteggere, l’UE non potrebbe strappare le proprie regole per un paese. In effetti, l’accordo di ritiro ha superato la linea rossa dell’UE, che ha ripetutamente affermato di non potere e non volere offrire di più.
Con l’affondamento dell’accordo, rinegoziare con l’UE sulla stessa linea è una perdita di tempo. L’unico tipo di rinegoziazione che può avere qualche possibilità di successo è quello in cui le questioni più ampie, come l’unione doganale, vengono rimesse sul tavolo. Sembra che May non sia disposta a farlo. E’ difficile capire come un nuovo accordo, senza una simile rinegoziazione, sarebbe diverso dal vecchio accordo.
Colloqui interpartitici
May si è lamentata del fatto che, mentre i membri del Parlamento sono stati molto chiari su ciò che non intendevano accettare, non hanno dato alcuna indicazione chiara su ciò erano disposti ad accettare. Questo è indubbiamente vero, soprattutto perché la Camera dei Comuni non ha un’idea chiara di come dovrebbe essere l’accordo di ritiro o di come dovrebbero essere le future relazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea.
Alla luce di ciò, May ha suggerito che una via da seguire potrebbe essere quella dei colloqui interpartitici, ma questa non è una soluzione facile. May ha nemici dappertutto, con laburisti, liberaldemocratici, membri del Partito Nazionale Scozzese e del Partito Unionista Democratico (partito di destra dell’Irlanda del nord, N.D.T.) che offrono soluzioni diverse al suo problema. Pochi di loro saranno d’accordo con le linee rosse proposte da Theresa May, o tra di loro, rendendo l’accordo quasi impossibile.
Un’altra questione è la mancanza di tempo, con meno di 80 giorni prima che il Regno Unito lasci l’Unione Europea. Se queste discussioni si fossero svolte dopo le elezioni del 2017, o quando May è diventata primo ministro, l’accordo sarebbe stato possibile – ma in questa fase avanzata e con May che sembra decisa a non scendere a compromessi in modo significativo, l’accordo tra i partiti sembra irraggiungibile.
Proroga dell’articolo 50
La mancanza di tempo è un problema sia per chi vuole rimanere nell’Unione Europea sia per chi vuole lasciarla. Negoziati, elezioni generali, un altro referendum – tutto questo richiede tempo e la Gran Bretagna dovrebbe lasciare l’UE il 29 marzo. L’articolo 50 potrebbe essere prorogato, ma ciò richiede l’accordo dell’UE. Affinché il Regno Unito possa chiedere tale proroga e l’Unione Europea sia d’accordo, sarebbe necessario un piano d’azione pratico per convincere entrambe le parti del suo senso. Anche se è probabile che si possa chiedere una proroga dell’articolo 50, si tratta solo di un rinvio, non di una soluzione.
Secondo referendum
Per buona parte del 48% che ha votato per rimanere nell’UE, un secondo referendum potrebbe essere la risposta. Figure chiave del “Leave” sono indagate per presunte irregolarità durante la campagna referendaria e l’opinione pubblica britannica è molto più informata sull’Unione Europea ora di quanto non lo fosse nel 2016. Un altro referendum potrebbe dare un colpo mortale alla Brexit. Tuttavia, non c’è alcuna garanzia che vinca l’opzione del “Remain” e un voto potrebbe creare ulteriori divisioni all’interno della società. La possibilità di un secondo referendum è sempre più probabile, ma allo stesso tempo è ancora molto lontana.
Brexit senza accordo
Tra tutte le opzioni, l’unica certezza è che senza ulteriori azioni, accordi, referendum o elezioni generali, il Regno Unito lascerà l’UE il 29 marzo senza alcun accordo. Ciò significherebbe che il Regno Unito ritornerebbe alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Nessun’altra nazione al mondo commercia esclusivamente in base alle regole dell’OMC e il danno economico sarebbe estremo.
I ritardi nei porti e la questione del confine con l’Irlanda del Nord provocherebbero inoltre enormi divisioni e danni per l’economia del Regno Unito. Gli accordi commerciali richiedono tempo, spesso anni, quindi le difficoltà non sarebbero a breve termine. Senza vantaggi realistici per il paese, è difficile capire perché qualcuno dovrebbe perseguire questa opzione come positiva.
Nessuna delle opzioni che il governo e il Parlamento del Regno Unito si trovano davanti è particolarmente attraente – e tutte hanno costi a lungo termine – ma la pratica abituale è che quando il Parlamento non può prendere una decisione la questione viene rimessa all’elettorato. È difficile dire se ciò sia fattibile, ma nessuna democrazia dovrebbe mai evitare le opinioni del suo popolo.
Questo articolo è stato ripubblicato da The Conversation con una licenza Creative Commons. Qui l’articolo originale.