Era un metodo consolidato. Prima il Governo presentava un decreto legge su un argomento, chiedendo la firma del Presidente della Repubblica, adducendo motivi “straordinari di necessità e urgenza” (art. 77 Costituzione). Poi il Parlamento in fase di conversione in legge del decreto (entro 60 giorni), presentava emendamenti che aggiungevano svariate materie al testo del decreto legge iniziale, trasformandolo in un “omnibus” dove veniva inserito di tutto e di più.
Questa scorretta prassi è stata più volte censurata dalla Corte Costituzionale, in particolare con due sentenze del 2012 (n. 22) e del 2014 (n. 32), nelle quali si stabilisce che il principio di omogeneità tra decreto-legge e legge di conversione è un requisito necessario e di conseguenza deve essere limitata la possibilità di emendare il decreto legge originario.
Tutto ciò sembrava che ormai appartenesse al passato, ad una classe politica abituata a strumentalizzare le istituzioni ai propri scopi, poco propensa al rispetto delle regole, comprese quelle Costituzionali.
Ecco invece che il nuovo Governo ha riproposto il vecchio schema. Il 15 dicembre 2018 è stato emanato un decreto legge con una decina di articoli, il cosiddetto decreto “semplificazioni”. Le commissioni parlamentari hanno approvato 85 emendamenti, trasformando il decreto in un contenitore per tutti gli usi: dalle norme su Rca auto alle farmacie, dalle divise della Polizia al Cda dell’Enac, dalla Xylella degli ulivi pugliesi ai trasferimenti nella scuola, etc. E così si è passati dalle semplificazioni alle complicazioni, anzi alle evidenti confusioni.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di fronte a tale spregio delle norme costituzionali e del buon senso, ha avvisato Governo e Parlamento che non avrebbe apposto la sua firma sulla legge di conversione. Di conseguenza, la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati non ha ammesso al voto dell’aula parlamentare 62 degli 85 emendamenti approvati dalle commissioni parlamentari, poiché sono stati giudicati “non urgenti e non attinenti”.
È chiaro che il Presidente della Repubblica e la Presidente del Senato hanno fatto il proprio dovere e svolto correttamente il proprio compito. Non si può dire altrettanto per il Parlamento e per Governo. In queste situazioni sorge spontanea la domanda: i parlamentari e i ministri conoscono la Costituzione? Se sì, ci si chiede perché non la rispettino. Se no, ci si chiede perché non si dimettano. Tertium non datur.